POPOLO DI CAMMINATORI
1. Epoca di caos
L’epoca
nella quale viviamo è fatta di grandi sfide: poche certezze per il futuro e
grandi angosce. I giovani che come me
si affacciano al futuro e timidamente (o no) muovono i loro passi nel “mondo
degli adulti” non possono che porsi una domanda: “ma io, chi sono?”. La
risposta non può essere certamente semplice ed immediata, come se fosse uno dei
tanti messaggi contenuti nei “Baci Perugina” o nei “biscotti della fortuna”. La
risposta a questo “chi sono” necessita infatti di un cammino, che parta dalla
presa di coscienza di essere nel mondo.
Heidegger stesso ce lo faceva notare all’inizio del secolo scorso: noi siamo
gettati in questo mondo e non siamo soli, ma siamo un insieme di enti che
vivono, cooperano, si formano tra loro. La modalità del nostro vivere però
dipende unicamente dalle nostre scelte. A noi, e a noi soltanto, è dato
scegliere se vivere in maniera autentica o in-autentica. Il “demone”
dell’inautenticità, è un demone che da più di mezzo secolo è stato individuato
dal pensiero filosofico e no, ma che ancora non è stato “esorcizzato” dalla
nostra vita. Non è un caso, a mio parere, che proprio nel XX secolo si siano
sviluppate correnti di pensiero che cercassero di mettere in luce quale fosse
il vero e proprio essere dell’uomo (o
dell’Esserci). Si intuiva all’inizio
del secolo scorso, e ancor di più nel secondo dopo guerra, che si la tecnologia
poteva essere un valido e ottimo aiuto per l’esistenza umana. Si era compreso
che essa poteva facilmente ridurre il nostro grande mondo, ad un piccolo
villaggio globale. Si intuiva però che questo avanzamento tecnologico portava
con se un ombra oscura, quella della vita
in-autentica, dell’alienazione dei
vissuti veri dell’uomo. Mai come
nel primo decennio del XXI secolo, questa alienazione è stata colta da tutti:
televisione, internet, telefonia hanno perso la loro originaria funzione di
comunicatori, di mezzi di comunicazione di massa, trasformandosi sempre più in luoghi di alienazione. Non voglio
sembrare l’inquisitore di turno che urla al mondo intero che il Male è tra noi.
Anche io come la maggior parte, se non la totalità dei giovani usa (e forse
abusa) della tecnologia. Posseggo anche io uno smartphone. Sono iscritto anche
io a facebook. Guardo anche io la televisione e mi soffermo sui programmi
demenziali per farmi quattro risate. Al contempo però cerco, per quanto mi è
possibile, di analizzare criticamente, con quel criticismo di kantiana memoria,
tutto ciò che non solo esiste e vive attorno a me, ma che anche io stesso, in
prima persona vivo.
2.
Epoca di artisti o pseudo tali
Nel
caos generale entro il quale viviamo, l’interrogativo quanto mai impellente
“chi sono?”, trova risposta in un fenomeno che mai nella storia ha avuto
precedenti: quello che potremmo definire del “tutti siamo Artisti”. Uso
volutamente la maiuscola, per sottolineare il fatto che tutti (o quasi) ci
sentiamo Artisti al pari di Picasso, Rembrant, Botticelli, etc. Tutti siamo
degni di nota. Tutti abbiamo bisogno del nostro momento di gloria e della
nostra celebrazione da parte del resto del mondo. Internet, i vari social
network e i vari forum, ci permettono di farci conoscere al mondo intero. Come
la prof.ssa Loredana Parmesani fa notrare all’interno delle sue monografie, oggi
chiunque può creare una propria galleria d’arte, una propria mostra con a tema
le proprie creazione siano esse quadri, maglioni, etc. Ognuno può per un
effimero momento entrare nel mondo dei gloriosi artisti. Ma mi chiedo: è vera
arte questa? E soprattutto, se l’arte riflette, come più volte ha fatto (vedi
il Cubismo), lo spirito di un tempo,
quest’arte che noi produciamo lo riflette? E allora “chi siamo”? La risposta
che mi sorge spontanea è che siamo una generazione (e qui inserisco appieno) di
uomini e donne che devono ancora definirsi. Che cercano rifugio e trovano
“verità” in effimeri gesti di mera quotidianità, che nulla hanno a che fare con
la vera Arte, l’autentica esistenza. Siamo una generazione che non ha compreso
(e forse mai sentita) la lezione di Heidegger dove poneva una netta distinzione
tra i luoghi della verità, tra quei luoghi ove possiamo trovare la “vera”
verità e quelli dove solamente crediamo di averla trovata. Siamo una
generazione che non abbiamo creduto a Gadamer, quando ci spiegava che l’arte
contemporanea (e io volutamente estendo a quell’arte prodotta da tutti) non è
vera estetica, perché l’estetica non è un gioco, un mero svago, ma deve portare
alla conoscenza, alla verità. Non possiamo dirci generazione di pittori,
artisti, ma siamo una generazione di camminatori.
3.
Viandante, non è la via
“Caminante, son tus huellas”[1]
scriveva il poeta spagnolo Antonio Machado e davvero io credo che “il cammino
si faccia camminando” perché non è prestabilito da nessuno. L’inquietudine
giovanile del non sapersi definire può cadere spesso vittima delle facili
illusioni di una pseudo arte, capace di fama immediata. I reality show e molti
altri programmi della televisione commerciale, ad esempio, sono il chiaro
esempio di come uno possa illudersi facilmente, di come uno possa credere
realmente di diventare un divo. Se è vero che l’arte contemporanea, quella
vera, che la prof.ssa Palmensani sta così difficilmente scovando in tutto il
mondo, sta puntando verso un mondo del
concreto, verso il ritorno ad il vero
ed autentico, allora bisogna guardare all’arte come una bussola. L’arte del resto come ho già
detto, ha avuto sempre il “potere”di incarnare lo “spirito di un epoca”, e
nell’epoca nella quale noi viviamo forse sta addirittura anticipando i tempi,
ci sta indicando una strada verso cui andare. Le sofisticazioni tecnologiche che ormai sono onnipresenti nella
nostra vita, hanno rischiato (o forse l’anno fatto davvero) di annichilire la
nostra esistenza, il nostro io. L’arte dal canto suo sta cercando di salvarci,
ci getta quell’ancora di salvezza che ci permetterà di ritornare a galla. Non è
un caso, a mio parere, che negli ultimi anni, anche sui social network si siano
moltiplicate comunity che proprio tramite l’arte della fotografia (fotografia
non privata di un processo di restailing tecnologico) lanciano messaggi di speranza
per il futuro. Dal semplice Open your mind (fig. 1), a foto che
necessitano un processo di decifrazione (fig. 2), l’utente, l’umano è chiamato
in prima persona a riflettere a pensare. L’invito del resto è stato ben accolto
(basta vedere i molti post che vengono scritti sotto ogni foto, o i numerosi “i
like”). Forse la fotografia filosofica
(o etica) rappresenta proprio il
nuovo fronte del pensiero filosofico. Un fronte così ancora poco affrontato, un
fronte dove arte, filosofia, estetica ed etica si possono incontrare e
accettano di buon grado anche la poesia e la prosa per poter rispondere alla
domanda “chi sono io?”. Tutti del resto possiamo partecipare a questo processo.
Tutti possiamo anche attraverso facebook (e la pagina del Caffè Filosofico),
comunicare, senza la presunzione di essere Artisti, la nostra partecipazione a
questo momento di evoluzione culturale.
Tutti possiamo fornire quel materiale che descrivendo la nostra quotidianità,
ci permette di descrivere e quindi di rispondere al domanda più difficile della
vita. Dal canto mio lancio una provocazione, un sasso, senza nascondere la
mano, perché da figlio di due appassionati di foto, fotografo tanto anch’io e
partecipo a questa evoluzione culturale,
postando su facebook (e su queste pagine) “la
mia quotidianità”, la risposta al mio
“chi sono”, lasciando ad altri il compito magari di commentare e magari di
partecipare anche loro, ricordando però che non siamo necessariamente artisti,
ma siamo Camminatori.
FOTO
fig. 1
fig. 2
fig. 3
[1]
Viandante, non è la via,/ che le tue orme, nient’altro;/viandante, non ci sono
vie,/la via si fa camminando./ La fai tu mentre cammini,/ e se volgi indietro
l’occhio/ vedrai il sentiero che non/ ritornerai più a calcare./ Viandante, non
ci sono vie,/ solamente scie sul mare.
Commenti
Posta un commento