FRATELLI ANGLICANI E PAPI SANTI

Domenica 27 aprile, seconda di Pasqua detta “della Divina Misericordia”, è stata una domenica storica per la chiesa Cattolica e non solo. Infatti in occasione della canonizzazione di due papi, Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II, erano presenti altri due papi concelebranti, il papa emerito Benedetto XVI e l’attuale pontefice Francesco. Nella storia ecclesiale degli ultimi due anni, in particolare dalla rinuncia al pontificato da parte di papa Ratzinger, ci siamo (quasi) abituati agli eventi “straordinari”. Questa canonizzazione, che già di per sé rappresentava un fatto eccezionale perché vedeva “radunati” quattro papi[1], quattro pontificati diversi ma mossi dal medesimo Spirito (vi è diversità di carismi, ma vi è un medesimo Spirito[2]), è stato ancora di più un evento eccezionale perché di portata ecumenica. Radunati in piazza San Pietro non vi erano infatti solo Cattolici ma anche diversi rappresentanti delle Chiese Ortodosse e delle Chiese Anglicane. I giornali, come buona parte dei teologi cattolici e dei vaticanisti, hanno dato grande risalto alla presenza dei nostri fratelli Ortodossi. Basta ricordare che il Patriarca Ecumenico Atenagora[3] di Costantinopoli applicava alla persona di Giovanni XXIII le parole del prologo giovanneo: e venne un uomo mandato da Dio, il cui nome era Giovanni[4]. Storici furono del resto i rapporti (non sempre condivisi da Roma) tra l’allora nunzio apostolico Roncalli e i diversi patriarcati di Bulgaria ed Istambul. Anche i rapporti tra Giovanni Paolo II e il mondo Ortodosso hanno visto nel suo lungo pontificato una continua primavera. Tuttavia la fiorente stampa prodotta in questi giorni sembra aver dimenticato la presenza dei nostri fratelli anglicani. La Chiesa, o meglio le Chiese Anglicane erano anch’esse presenti a Roma per ricordare gli ottimi rapporti avuti con entrambi i papi. Fu infatti Giovanni XXIII ad inaugurare questa serie di rapporti ricevendo a Roma il 2 dicembre 1960 l’arcivescovo di Canterbury Geoffrey Francis Fisher[5]. Erano infatti oltre 400 anni che il primate della Chiesa Anglicana e il Sommo Pontefice Romano non si incontravano. Tale incontro e i rapporti che ne seguirono, furono talmente fecondi che la Comunione Anglicana, come anche altre confessioni cristiane, furono invitate al Concilio Vaticano II, che dopo diversi secoli veniva a definirsi Ecumenico. Testimonianza di questa fecondità è il fatto che la Chiesa Anglicana, in particolare la Chiesa Episcopale Americana, riconosce Giovanni XXIII santo già da diversi anni[6].  Nel calendario liturgico della Chiesa Episcopale, infatti il 4 giugno viene ricordato Giovanni XXIII vescovo di Roma quale artefice del Concilio che cambiò la Chiesa non solo per i Cattolici Romani ma per tutti i cristiani[7]. Diversi furono poi gli incontri che papa Wojtyla ebbe con i primati anglicani e non solo. Storico e degno di nota fu l’apertura della porta santa della Basilica di San paolo fuori le mura fatta insieme all’arcivescovo di Canterbury Carey e il patriarca metropolita Atanasios[8]. In tale occasione papa Giovanni Paolo II così salutava i presenti: l'amore di Cristo ci chiama alla comunione e alla carità perfetta, al di là dei nostri peccati e delle nostre divisioni[9]. E nell’omelia proseguiva affermando: Benvenuti per quest'incontro, che segna un passo in avanti verso l'unità dello Spirito, nel quale "siamo stati battezzati". Unico è il Battesimo che abbiamo ricevuto. Esso pone un vincolo sacramentale di unità tra tutti coloro che per suo mezzo sono stati rigenerati. (…) Può un corpo essere diviso? Può la Chiesa, Corpo di Cristo, essere divisa? Sin dai primi Concili, i cristiani hanno professato insieme la Chiesa "una, santa, cattolica e apostolica". Essi sanno con Paolo che uno solo è il corpo, uno solo è lo Spirito, una sola è la speranza alla quale sono stati chiamati: "Un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo. Un solo Dio Padre di tutti, che è al di sopra di tutti, agisce per mezzo di tutti ed è presente in tutti" (Ef 4,4-5)[10]. In questa lunga citazione possiamo cogliere quale sia la linea guida dell’intera omelia di papa Giovanni Paolo II: il battesimo di Cristo è la nostra originale unità. Legati dal comune battesimo e dalla comune professione di fede, siamo tutti fratelli. Quello che occorre realmente è una conversione dei cuori all’unità, come ci ricorda sempre papa Wojtyla. È da queste e molte altre parole dei due papi ora Santi, ma anche dai loro successori, che dobbiamo partire per un reale cammino di conversione ed unità. Non possiamo pensare che possiamo ritornare ad essere un unico corpo ricordando solamente alcuni nostri fratelli ed escludo altri. La Chiesa di Cristo è chiesa di tutti. A tutti il Signore Risorto dona la sua Pace[11]. Tutti siamo inviati da Cristo a potare il suo messaggio d’amore. Tutti siamo invitati ad essere cooperatori d’unità. Infatti l’unità, anche quella della Chiesa di Cristo, può essere fatta solamente se si parte dalle sue fondamenta, se si parte da piccole gesti di comunione fraterna come quelli compiuti dal nunzio Roncalli. Ciascuno è chiamato secondo i propri carismi[12] all’unità del Corpo, anche se esso è costituito da diverse membra come ci ricorda Paolo di Tarso[13]. Tale diversità, tale originalità che lo Spirito ha suscitato nelle diverse confessioni per opera di diversi pensatori, non costituisce necessariamente qualcosa di negativo. Ci ricorda infatti Paolo che “vi è varietà di operazioni, ma non vi è che un medesimo Dio, il quale opera tutte le cose in tutti”[14]Il vero segno di unità, a mio avviso, oltre nel riconoscere che siamo tutti fragili creature in cammino, sta anche nel riconoscere la bellezza della diversità dei nostri fratelli. Riconoscendo tale bellezza, noi riusciamo anche a crescere ed arricchire il nostro Spirito. Non solo nella bellezza del rito ortodosso noi possiamo crescere, ma anche nella sobrietà e semplicità della liturgia e della teologia anglicana il nostro spirito si arricchisce. Sfidiamo noi stessi andando alla scoperta del nostro fratello “diverso ed uguale”, perché nulla avremo da perdere, al massimo ci arricchiremo nella conoscenza anche di noi.

***


foto 1 – I quattro Papi


foto 2 – l’arcivescovo Geoffrey F. Fisher 


foto 3 – l’arcivescovo Carey, papa Giovanni Paolo II e il patriarca Atanasios



[1] Nella foto 1 simpaticamente raffigurati come una famosa copertina dei Beatles
[2] Ci ricorda infatti Paolo di Tarso nella Prima Lettera ai Corinzi che  vi è diversità di ministeri, ma non c’è che un unico Signore. [E che] nessuno può dire “Gesù è il Signore!” se non per mezzo dello Spirito Santo. (1Co 12:1-6)  
[3] Come ricorda il cardinale olandese Johannes Willebrands negli atti processuali per la canonizzazione di papa Roncalli
[4] Gv 1,6
[5] Geoffrey F. Fisher (1887-1972) fu arcivescovo di Canterbury dal 1945 al 1961.  Fu l’arcivescovo che celebrò le nozze della Regina Elisabetta II e nel 1953 la incoronò. (Foto 2)
[6] http://www.episcopalchurch.org/lectionary/john-xxiii-bishop-rome-1963
[7] During the first year of his pontificate, he called the Second Vatican Council for the purpose of renewing and revitalizing the church. The work of the Council transformed the church of the twentieth century, not only for Roman Catholics, but for all Christians. (“Holy woman, Holy man – Celebrating the Saints”, Church Pubblishing)
[8] Nella foto 3 il momento centrale
[9] Rito di apertura della Porta Santa, Basilica di San Paolo fuori le mura, 18 gennaio 2000
[10] Omelia del 10 gennaio 2000
[11]Pace a voi! Come il Padre mi ha mandato così io mando voi” Gv 20:21
[12]Vi è diversità di carismi, ma vi è un medesimo Spirito. Vi è diversità di ministeri, ma non v’è che un medesimo Signore” (1Co 12:4-5)
[13] “Poiché, come il corpo è uno e ha molte membra e tutte le membra del corpo, benché siano molte formano un solo corpo, così è anche Cristo. Infatti tutti siamo stati battezzati in un unico Spirito per formare un unico corpo” (1Co 12:12-13b)
[14] 1Co 12:6

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