LA FAVOLA DEI MONDI GEMELLI
Pianeta Terra, Kepler 452b e Hilary Putnam


Nel 1975 il filosofo americano Hilary Putnam, esponendo la propria riflessione circa il significato di significato, propone il famoso esperimento mentale di “Terra Gemella”[1]: Putnam ipotizza l’esistenza di un pianeta del tutto simile alla terra, fuorché nella formulazione chimica di ciò che noi terrestri chiamiamo acqua. Se sul pianeta Terra l’acqua viene chimicamente indicata come H2O, su Terra Gemella si usa la formula XYZ, anche sei i due liquidi sono, a prima vista, del tutto simili sia per aspetto che per qualità. L’astronauta incaricato dalla Terra di visitare il pianeta Gemello, dopo aver analizzato chimicamente il liquido, giungerebbe alla conclusione che esso è dissimile all’acqua-terrestre, avendo, come già detto in precedenza, una formulazione chimica diversa. A questo punto Putnam introduce la “variabile” del “terrestre comune”[2], l’essere umano privo di una particolare formazione scientifica e soprattutto sprovvisto dei mezzi necessari per effettuare un paragone (a livello chimico) fra le due acque. Per il visitatore “comune” l’acqua di Terra Gemella non sarebbe per nulla diversa da quella del pianeta madre, al punto che egli continuerebbe ad utilizzare la parola acqua per entrambe le sostanze. Per Putnam tale utilizzo costituisce un errore, un abuso se si vuole della parola acqua, dal momento che linguisticamente noi indichiamo la sostanza chimica H20 e tutt’al più dovremmo chiamare XYZ acqua-gemella.  La morale della storia, secondo alcuni studiosi del pensiero del filosofo americano, risiederebbe nel suo famoso aforisma “I significati semplicemente non sono nella testa”, ovvero che il significato dei termini impiegati nel linguaggio non è determinato dai singoli parlanti ma dalla comunità linguistica, la quale attuerà in un certo momento storico un battesimo iniziale del termine (S. Kripke) fissando il suo significato e il suo riferimento.
Al di là di questo esperimento mentale e delle sue implicazioni a livello linguistico, il racconto di Terra Gemella ci permette di riflettere su alcuni aspetti della recente scoperta di Kepler 452b. Con grande soddisfazione e risonanza mediatica, lo scorso 23 luglio la NASA ha annunciato la scoperta di un pianeta gemello (se pur più “anziano”) della Terra. Grande 1,6 volte rispetto alla Terra e posto alla medesima distanza dalla stella intorno alla quale orbita, Kepler 452b si colloca inoltre nella zona di “abitabilità” che consentirebbe l’esistenza dell’acqua (forse la famosa XYZ?), nei tre stati della materia, e la più remota possibilità di vita (intelligente?). L’euforia generale, non solo degli “addetti ai lavori”, è stata evidente. Molti si sono spinti anche ad ipotizzare date (entro il 2035) nelle quali potremo finalmente incontrare esseri viventi extraterrestri. Non sono nemmeno mancate le critiche alla festosa accoglienza della notizia della NASA, come traspare dall’articolo pubblicato on-line dal quotidiano LaStampa[3]. Tralasciando la polemica sull’influenza che la NASA ha sui media, il giornalista Bianucci ci permette di considerare il fatto che non abbiamo ancora la certezza che Kepler 452b possa essere considerato come la Terra Gemella di Putnam. Inoltre le distanze dell’Universo renderebbero difficile una visita “imminente”. Siamo però ormai abituati ad alti e bassi nelle scoperte scientifiche ed in particolare quelle astronomiche. Emerge tuttavia, sempre più chiaramente, il desidero di conoscere, di sapere se realmente siamo soli nell’Universo e soprattutto se esiste un pianeta simile al nostro dove poterci rifugiare nel caso in cui la nostra madre Terra non risulterebbe più ospitale. È del resto più semplice abbandonare ciò che stiamo distruggendo e consumando ad una velocità senza precedenti nella storia umana e del pianeta anziché cercare di curare la Terra. Soprattutto è la possibilità di conoscere “nuove” forme di vita presenti ma distanti da noi nell’Universo, che ci sospinge a cercare sempre più in là dove solo l’occhio del telescopio può ora giungere. La fantasia, circa il loro aspetto, le loro usanze e la loro lingua, si spreca e a volte è all’origine di documentari più o meno scientifici e di sceneggiati televisivi e film di enorme successo. Tuttavia quello che ora voglio proporre io è un altro esperimento mentale. Non ha alcuna pretesa di essere rilevante dal punto di vista linguistico, scientifico, etc., in quanto vuole poter sospingere il lettore a compiere una semplice e bizzarra riflessione.
Poniamo che l’umanità nel prossimo futuro (magari esattamente nel 2035), riesca a raggiungere Kepler 452b. La missione affidata agli astronauti è molto semplice: trovare traccie di una possibile civiltà intelligente extraterreste e instaurare con essa i primi pacifici contatti. Caratteristica della missione è il fatto che tutto viene documentato e trasmesso in diretta streming (con ovvia differita di alcuni minuti!). Tutto è pronto, l’umanità è in attesa di sapere se saranno i fedeli dei grigi, dei rettiliani o altro a vincere. Contro ogni previsione la navicella spaziale terrestre riceve da Kepler 452b l’invito e quindi il permesso di atterrare. Giunti finalmente sul pianeta, il mondo e gli astronauti trattengono il fiato in attesa di vedere quale forma di vita abiti Kepler 452b. Dinnanzi agli occhi di ogni terrestre quello che si presenta va oltre ogni fantasia: gli esseri che abitano il pianeta gemello sono del tutto simili a noi. I kepleriani hanno anche loro due braccia e due mani, due gambe e due piedi, un busto e una testa, due occhi, una bocca, un naso e due orecchie. Anche loro come noi respirano, pensano, parlano e si nutrono delle medesime sostanze. L’acqua non è composta da XYZ ma H2O e l’ossigeno da O2. L’alieno immaginato tanto diverso da noi non lo è poi così tanto, dato che l’unico elemento che ci distingue è il fatto che la loro civiltà è più vecchia della nostra, dato che il loro pianeta è più “anziano”. Di fronte all’evidente imbarazzo e alla grande delusione dei terrestri, un bambino keplerese si fa avanti e dice: “Spero che la delusione non sia grande. Non siamo venuti prima noi per non farvi restare male e cancellare i vostri sogni di alieni grigi, rettialiani o di altre specie”.

A differenza di Putnam non suggerisco una conclusione o una morale, ma semplicemente vi invito ad una semplice riflessione: quale sarebbe la vostra reazione se come nell’esempio proposto gli alieni fossero simili a noi? E se invece fossimo soli nell’Universo?

“Se queste ombre vi hanno offeso, pensate
(e cada ogni malinteso)
Di aver soltanto sonnecchiato
Mentre queste visioni vi hanno allietato.
E questo tema ozioso e futile
Non più di un sogno vi sarà utile.
Gentili amici, non rimproverate;
Miglioreremo se perdonate...”
Shakespeare, Sogno di una notte di mezza estate

Hilary Putnam




[1] H. Putnam, Mente, linguaggio e realtà, Adelphi
[2] Hilary Putnam suggerisce l’idea che questo visitatore provenga o per lo meno abbia le medesime conoscenze chimico-scientifiche di un uomo del settecento.

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