IL DEMONE SOCIAL NETWORK
Nuova religione o nuovo palcoscenico?
Nella
sezione “Tecnologia” del quotidiano LaStamapa venerdì 28 agosto è apparso un
articolo firmato da Gianluca Nicoletti[1],
nel quale il giornalista commenta il post pubblicato da Mark Zuckerber[2]
sul social network da lui fondato Facebook. Nel post pubblicato, Zuckerber
celebrava orgoglioso il miliardo di utenti connessi contemporaneamente in 24
ore sulla propria piattaforma. Commentando questo evento (presunto vero, dato
che nessuno ha verificato l’esattezza del conteggio) Nicoletti ha definito
Facebook come la nuova religione mondiale alla quale tutti si stanno
convertendo. Pur rimanendo vero il fatto che ormai quasi più nessuno pone la
questione se il proprio interlocutore sia iscritto a Facebook, dando per
scontato che tutti siano fruitori del social, l’analisi avanzata dal
giornalista de LaStampa mi sembra in alcuni tratti eccessiva. Definire Facebook
una religione vuol dire affermare che questa entità tecnologia sia allo stesso
tempo divina/immateriale (per i suoi adepti che l’adorerebbero come tale) e
materiale/fisica perché vista come unico luogo dove poter celebrare il culto
richiesto dalla divinità. Le religioni del mondo avrebbero dunque subito
un’ulteriore trasformazione, passando dal politeismo delle religioni antiche, al
monoteismo giudaico-cristiano, per giungere ora ad un culto che non ha né dei né
testi sacri, né tanto meno regole morali di comportamento o prassi precise per
il culto. Ritengo che definire Facebook una religione sia eccessivo, dato che
il suo obbiettivo (dichiarato o meno) è quello di costituire piuttosto una
piazza, un’agorà digitale, nella quale i suoi iscritti, provenienti da ogni
angolo della terra, si ritrovano (volenti o nolenti) radunati nel medesimo luogo.
Accedendo al social, l’umanità riesce davvero a coesistere (più o meno
pacificamente) nel villaggio globale che la modernità e soprattutto l’avvento
della tecnologia digitale ha prodotto. Uomini e donne che non si sono mai
incontrate, e con ogni probabilità non lo faranno mai, hanno l’opportunità di
conoscersi, scambiarsi opinioni e per certi aspetti fare amicizia. Sono ben
consapevole che molti potranno criticare questa mia definizione del rapporto
che si viene a creare, ma qualcosa effettivamente nasce tra gli iscritti. Allo
stesso tempo è evidente a chiunque che in Facebook non è tutto rosa e fiori.
Essendo concepito come una pizza, tutti hanno la possibilità di sapere ogni
cosa delle persone con cui sono in contatto. La privacy sembra non esistere o
piuttosto alterare il suo originario significato. Siamo nudi o quasi in questa agorà
digitale che sembra alimentare la chiacchera
e la sete di pettegolezzo che ne
deriva. In questo senso Facebook può condurci pian piano in una vita senza
senso, in una falsa esistenza che non
è finalizzata alla conoscenza del vero e del bello, che sono la base
dell’eterno alla quale dovremmo tendere, ma siamo condotti verso l’effimero e
l’immediato che non sapranno mai appagarci. Tuttavia anche in questo caso
abbiamo il risvolto della medaglia, dal momento che essendo una piazza, oltre
ai moderni sofisti, possiamo incontrare angoli e spazi dove la cultura viene
fatta, dove il bello e il vero vengono discussi e la filosofia vive con una
nuova veste. Anche la religione può e ha trovato nuove forme di comunicazione,
senza essere soppiantata da Facebook. Il vero demone è invece l’apparire, la necessità di dover esser
visti ed ammirati a tutti i costi. Attenzione: essendo una piazza digitale è
stata data l’opportunità di pubblicare scatti, istanti di memoria che possono
essere condivisi con il mondo, e ciò che io condanno non è questo modo di
utilizzare Facebook, dato che anche io (avendo anche una pagina dedicata a
questo blog) ne faccio uso. Il demone dell’apparire è invece collegato a coloro
che mettono in mostra ogni istante, minuto per minuto, la loro esistenza, non
per rendere partecipe gli iscritti al social della loro gioia, del loro
disappunto etc, ma per suscitare invidia. Al demone dell’apparenza è
strettamente connesso quello dell’invidia, del suscitare invidia nell’altro.
Sono figli entrambi della stessa madre, la mondanità, che ha come obbiettivo
primario quello di avvelenare l’esistenza umana. Il mio non vuole essere un
discorso da predicatore o da moralizzatore, ma la constatazione di un pericolo
che può presentarsi. Tale problema non è solamente legato al social network di
Zuckerber, poiché anche gli iscritti a Twitter (si pensi all’utilizzo che ne
fanno le star hollywoodiane), a Instagram e agli altri social network possono
essere tentati dall’idea di porsi in piazza per essere ammirati e lodati (o
derisi) da tutto il mondo. La logica che sta alla base di questo voler apparire
è molto semplice: più sono ammirato, più sono commentato e visto, più ricevo
“like”, più valgo e so di valere. Ma il valore di una persona si valuta sui
“like” ricevuti? Se sono ammirato perché suscito invidia, realmente valgo di
più? Persino uno strumento banale come i gruppi chat di wahtsapp possono essere
occasione per mostrare che si è migliori, poiché si può di più. Ma a quale
scopo? All’immortalità come sostiene Nicoletti nel suo articolo? “Tutto il mondo è un teatro e tutti gli
uomini e le donne non sono che attori”, affermava Shakespeare, e in questa
rappresentazione della nostra vita, che ha un inizio ed una fine, dovremmo
cercare di vivere senza maschere, mostrando chi siamo realmente senza vergognarci
del nostro io. Anche la maschera dell’apparenza, del voler far vedere che si è
migliori, dovrebbe essere abbandonata, lasciata nelle quinte del teatro della
vita a prendere polvere. Pur rimanendo la possibilità di essere vittime dei
demoni che si nascondono dietro i social network, dobbiamo ricordarci che per
il semplice fatto che siamo esseri
pensanti, dotati di un’intelligenza ed una capacità critica, siamo in grado
di gestire questi prodotti umani senza cadere nel baratro della superficialità
e della vita inautentica. Eliminare i social network non avrebbe senso, dato
che ormai fanno parte del nostro vivere, del nostro modo di rapportarci col
mondo e offrono a loro modo la possibilità di acquisire informazioni su di
esso. Quello che invece possiamo fare è affinare una sensibilità critica
nell’utilizzo di Facebook e co., che non li renda dannosi per noi e per gli
altri, ma spazi e momenti per fare cultura, condividere le gioie e fare memoria
delle cose belle della vita.
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