Analfabetismo moderno
Quando la scrittura manuale muore

 


Sappiamo che stiamo mettendo in atto una trasformazione culturale profonda, ma crediamo che saper scrivere al computer sia in questo momento più rilevante, nello svolgimento della vita di tutti i giorni”. È con queste semplici parole che Minna Harmanen, membro del Consiglio Nazionale dell’Istruzione Finlandese, ha “giustificato” la decisione rivoluzionaria presa dal Ministero della Pubblica Istruzione, di non insegnare più la scrittura manuale nelle scuole elementari. Una rivoluzione vera e propria che rischia di cancellare in un secondo una tradizione, quella della scrittura, che ha saputo illuminare silenziosamente i cosiddetti secoli bui tramandando il sapere degli antichi fino ai nostri giorni, che ha costituito una delle più belle forme d’arte grazie all’ingegno dei monaci amanuensi e che ha rappresentato  (e rappresenta ancora oggi) un motivo di emancipazione. Qualcuno potrebbe obbiettare che il modo di scrivere ha subito lungo i secoli notevoli mutamenti. Infatti nel corso della storia, all’interno della società occidentale, si è passati da forme scritturali costituite da simboli grafici simili a geroglifici, alle lettere greche e latine la cui combinazione ci permette di formare le parole. Anche i supporti tecnici hanno subito diversi cambiamenti: dallo scalpello per incidere la pietre, allo stilo che permetteva di tracciare le prime lettere  sulle tavolette di cera o argilla, per poi passare all’inchiostro su papiro o pergamena affinché lo scritto potesse durare. Inoltre, come ho già ricordato, la maestria dei diversi amanuensi ha permesso la ricerca di una scrittura che non fosse semplicemente chiara ma costituisse una vera e propria forma d’arte. La vera (prima) rivoluzione avvenne con la nascita della stampa. Per la prima volta nella storia si potevano produrre documenti in serie, uno uguale all’altro e in breve tempo. La scrittura manuale non vacillò, nemmeno quando con l’avvento delle prime macchine da scrivere ci si rese conto che una nuova accelerazione della scrittura era in atto. Il computer segnò il successivo (e forse definitivo) passo in avanti nella storia della scrittura. Con i sistemi informatici tutto è più veloce, le comunicazioni e le notizie viaggiano a tempi da record, e anche la scrittura ha subito (adattandosi al formato della tastiera) una rapida modificazione. Di per sé questa innovazione tecnologica non rappresenta un opposizione alla scrittura manuale, un suo superamento. Tuttavia, secondo il Ministero della Pubblica Istruzione Finlandese, la scrittura manuale è divenuta obsoleta se non addirittura “pericolosa”, perché permette di corrompere il corretto apprendimento della scrittura digitale. Senza voler troppo demonizzare la scelta del ministero finlandese, ritengo però che sia una grave perdita quella alla quale vanno incontro le nuove generazioni della Finlandia. Infatti il loro presupposto si basa che tutti i bambini, e gli adulti di domani, possano disporre di un apparecchio informatico (PC, tablet, etc) sul quale annottare anche semplicemente un pensiero o la lista della spesa. La tecnologia diverrebbe (se non lo è già) parte integrante del nostro vissuto. Come allora poter comunicare con quelle persone che non possono disporre di tali mezzi tecnologici? Chi ci assicura che il  nostro bagaglio culturale non vada perso a causa di un errore di sistema? E soprattutto, su che cosa si basa il “convincimento” che digitare sia uguale a progresso, e scrivere sia arretratezza? Perché non dire, allo stesso modo, ad un pittore o ad un scultore di abbandonare i loro strumenti “classici” per le nuove tecnologie? Riconosco al contempo che anch’io faccio uso della tecnologia che sembro voler demonizzare, ma dietro al mio elaborato c’è anche la mia reale mano, la mano destra che sull’agenda ha tracciato gli appunti, l’ossatura di queste mie riflessioni. Anche semplicemente vedendo quegli scarabocchi posso ritenermi soddisfatto di aver tracciato un pensiero, di aver prodotto con le mie mani e con la fatica che necessità una pagina scritta. Bella o brutta che sia la mia calligrafia è un qualcosa che è mio proprio, che mi contraddistingue rispetto a chi ha imparato a scrivere nella mia stessa classe. Il testo digitale, a differenza, è comune a tutti. Pur variando il carattere, chiunque potrebbe attribuirsene la paternità.
Si rende davvero necessario questo salto “evolutivo”? Oppure, disturbando un grande pensatore, non potremmo salvare la scrittura manuale, affermando che “scrivo con mano, dunque sono (un essere unico)”? Nella scrittura manuale a mio avviso risiede parte della nostra unicità (un pezzetto del nostro DNA), perché privarcene?    

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