GRUPPO DI BASE E SETE DI UMANESIMO


Sabato 13 dicembre 2014 ho potuto partecipare alla presentazione dell’ultimo libro, 1969. Un gruppo di base nel cremasco, della prof.ssa Maria Teresa Aiolfi, letterata e storica cremasca. Conosciuta soprattutto per aver analizzato il tema della società contadina cremasca ed aver studiato i profili storici di alcuni illustri concittadini, in questo ultimo libro la prof.ssa Aiolfi si occupa di una realtà, quella di una comunità di base per l’appunto, al quale lei stessa partecipò e che si sviluppò a Vaiano Cremasco (CR). L’intento del libro è quello di parlare di questa esperienza, “Il gruppo parla del Gruppo”, come afferma la stessa autrice (p.6): il gruppo “sulla scia del Concilio Vaticano II (1962-1965) e nel clima del sessantotto negli anni sessanta/70 all’interno della chiesa (…)” (p. 5) nasce e fiorisce. Un ritrovarsi spontaneo di giovani che nel fermento culturale sorto dal 1968 sente come esigenza primaria quella di studiare assieme il Vangelo, e scoprire la realtà in cui viviamo. Dalle testimonianze dei membri del gruppo raccolte dall’autrice si comprende come le riunioni si svolgessero con uno schema semplice basato principalmente sull’ascolto della Sacra Scrittura. Il tutto all’interno dell’oratorio ancora però diviso tra maschi e femmine, mentre il Gruppo si presentava formato da ragazzi e ragazze. Una prima svolta fondamentale di questa realtà consistette nella richiesta delle autorità ecclesiastiche di uscire dalla realtà oratoriale, con l’intento di far rientrare i vari componenti nella più consolidata associazione di Azione Cattolica. Tuttavia il bisogno d’essere un gruppo che non rispecchiasse i vecchi schematismi ma fosse frutto della nuova primavera, la sete di ricerca contro l’immobilismo, di creatività contro la passività, spinse questi giovani a ritrovarsi nelle loro case. Lo schema dei singoli incontri cambiò di poco: alla base c’era sempre la Parola che veniva interrogata, sia per esser meglio comprese, sia per leggerla nella contemporaneità. Un riunirsi come “protestanti”? Assolutamente no, dato che gli stessi apostoli, dopo l’ascensione di Gesù, erano assidui nel ritrovarsi nelle loro case per ascoltare la Parola e spezzare il pane (tutti gli Atti ne danno testimonianza). I comportamenti del Gruppo furono in un certo senso  precursori dei tempi, dato che dopo qualche anno nasceranno, ad esempio, i primi gruppi di Ascolto della Parola, il cui scopo è, tramite il semplice schema della Lectio Divina, cercare di interrogare la Scrittura negli avvenimenti della vita quotidiana. Peculiare fu il loro atteggiamento di attenzione agli eventi che nelle diverse parti del mondo avrebbero cambiato il volto della storia e dell’umanità. Preparando riviste, cartelloni, manifestazioni di piazza, cercavano di portare all’attenzione di un piccolo paese del nord Italia questioni di importanza mondiale. Illuminante fu anche la loro attenzione alla cultura e soprattutto ad una vera cultura di massa, che prescindendo dalle mode, creasse luoghi e momenti nei quali ritrovarsi. Si impegnarono per una scuola alternativa, per le assemblee popolari allargando la presa di coscienza dei problemi a tutta la cittadinanza, per un teatro d’ambiente, per i movimenti di liberazione (in particolare nelle colonie portoghesi) attraverso la raccolta della carta.

Che cosa realmente muoveva questi giovani?  A mio avviso la sete di un nuovo umanesimo. Allora come oggi il mondo e la società civile necessita di un nuovo umanesimo, di una nuova spinta culturale che si apra all’uomo di oggi, che trasformi il mondo, la realtà in cui viviamo in un habitat più adatto all’uomo. La sosta che essi facevano nell’ascolto della Parola, un Verbo che non rimaneva semplicemente ascoltato ma veniva interrogato, costituiva (e può costituire ancora oggi) il punto di partenza unitamente ad altre letture/riflessioni extra scritturali. Bisogna, forse, avere il coraggio di rompere con le vecchie realtà per aprirsi a nuove che sappiano rispondere alla sete dell’uomo contemporaneo. La mia non vuol essere una condanna della tradizione, di essa bisogna saper cogliere ciò che di buono ha dato all’umanità, ciò che costituisce la buona base sulla quale costruire un futuro miglio, così da trasmetterlo a nostra volta alle generazioni future. Della tradizione vanno salvate le vere radici che ci permettono, come afferma Gandhi, di comprendere l’uomo, la società: “Sbaglia chi si ferma allo studio del ramo, dimenticando la radice”. La sete di nuovo umanesimo può trovare ancora una volta alimento in queste realtà di base, in queste piccole comunità di pensanti che si interrogano con coraggio e fede su se stessi e sul mondo.
 
 

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