PERDONO ED INCONTRO

La lettera del Sinodo delle Chiese Metodiste e Valdesi e la stampa italiana


“Riflettendo sulla storia delle nostre relazioni, non possiamo che rattristarci di fronte alle contese e alle violenze commesse in nome della propria fede, e chiedo al Signore che ci dia la grazia di riconoscerci tutti peccatori e di saperci perdonare gli uni gli altri. È per iniziativa di Dio, il quale non si rassegna mai di fronte al peccato dell’uomo, che si aprono nuove strade per vivere la nostra fraternità, e a questo non possiamo sottrarci. Da parte della Chiesa Cattolica vi chiedo perdono. Vi chiedo perdono per gli atteggiamenti e i comportamenti non cristiani, persino non umani che, nella storia, abbiamo avuto contro di voi”[1].

Nel mese di giugno, come molti sanno, si è svolto uno storico incontro a Torino nel Tempio valdese cittadino: papa Francesco ha visitato la comunità riformata italiana e ha chiesto, a nome della Chiesa Cattolica, perdono per gli atteggiamenti e i comportamenti non cristiani che la Chiesa romana ha avuto nei confronti dei valdesi. Di questo incontro e della reazione mediatica c’eravamo già occupati a fine giugno[2], mettendo in luce come una parte minore del mondo cattolico non aveva accettato le parole di richiesta di perdono del vescovo di Roma e di come il dialogo ecumenico vada oltre a queste barricate. Torniamo nuovamente, a distanza di due mesi, sul tema dell’incontro ecumenico, perché il Sinodo delle Chiese Metodiste e Valdesi, riunitosi a Torre Pellice a fine agosto, ha redatto una lettera[3] indirizzata a papa Francesco con la quale il massimo organismo della Chiesa Evangelica Valdese, risponde alle parole del pontefice. La lettera che inizia con la dichiarazione che “il Sinodo riceve con profondo rispetto, e non senza commozione, la richiesta di perdono rivolta [dal pontefice], a nome della sua Chiesa”, ha immediatamente suscitato scandalo e scalpore poiché gli organi di stampa italiani hanno riportato unicamente un’annotazione finale della lettera:

“Questa nuova situazione non ci autorizza però a sostituirci a quanti hanno pagato col sangue o con altri patimenti la loro testimonianza alla fede evangelica e perdonare al loro posto”.

Ad una prima lettura e se estrapolata dal contesto in cui è stata scritta, questa frase può apparire come un rigetto della richiesta di perdono. Come ormai è diventato drammaticamente consueto, molte testate giornalistiche per poter gridare allo “scoop” (e forse nel tentativo di vendere qualche copia in più) hanno costruito su questa frase tutta una serie di illazioni che portavano alla inevitabile conclusione che il cammino ecumenico, tanto auspicato da papa Bergoglio, non potesse avvenire perché la contro parte valdese trovava prive di senso le parole di perdono pronunciate da parte del pontefice. Ma davvero il Sinodo di Torre Pellice ha rifiutato la richiesta di perdono? Leggendo la lettera ci si accorge subito come i membri del Sinodo non vogliano semplicemente accogliere le parole di papa Francesco, ma desiderano unirsi a lui nella lode e nella gratitudine a Dio “la cui fedeltà è più grande di ogni nostro peccato e le cui compassioni non sono esaurite ma si rinnovano ogni mattina (Lam 3:22s)”. L’accoglienza delle parole del pontefice passa attraverso la presa di coscienza che entrambe le Chiese, che ogni singolo membro del corpo di Cristo, è una fragile creatura che lungo il suo percorso verso la comune meta, può cadere nell’errore. Allo stesso tempo viene sottolineato un fatto, in tema di perdono, che dovrebbe essere evidente a chiunque, ma che la modernità sembra aver dimenticato. Gli avvenimenti per i quali la Chiesa Cattolica chiede perdono, non sono avvenuti oggi ma nel passato e gli attori di quei fatti, le vittime ed i carnefici, non sono più vivi. Se come sottolinea il priore di Bose Enzo Bianchi, nel suo commento alla vicenda[4], il perdono tra esseri umani è possibile fintanto che essi sono in vita e dopo la morte va rivolto a Dio, fonte di misericordia, la lettera indirizzata a papa Francesco dal Sinodo Valdese, costituisce nel suo insieme un profondo testo di teologia che mette in mostra come il perdono non sia semplicemente delle parole pronunciate per giungere al “vissero tutti felici e contenti” delle favole, ma un moto del cuore che porta a rinnovare la vita di entrambe le parti chiamate in causa e il loro comune (se pur diviso) cammino con Dio. Le parole dell’apostolo Paolo citate dalla comunità valdese[5] costituiscono la confessione di volontà di accogliere il fratello che ha saputo riconosce il proprio errore[6], non per perdonarlo solamente ma per unirsi a lui nella comune supplica di preghiera affinché anche gli attori di quei drammatici avvenimenti possano trovare pace in Cristo. La nostra voce non può sostituirsi a quella di coloro che ne furono vittime, nemmeno se siamo i diretti discendenti. Tuttavia noi che viviamo in questo tempo, siamo chiamati a portare luce nella nostra quotidianità, ad intessere nuovi rapporti di fraternità ed amore con i nostri fratelli in Cristo per costruire un futuro nel quale realmente ogni cosa sarà rinnovata dall’Amore di Dio[7]. Dobbiamo essere capaci innanzitutto di vivere in prima persona, ognuno con le proprie possibilità, quel dialogo che è la base di una vita nuova, di un nuovo cammino comune verso Cristo, abbandonando, come foglie al vento, le parole di quei “profeti di sventura” che nel nome del mero commercio vendono false verità. Il dialogo inizia nella scoperta dei nostri fratelli, nella volontà di andare alla ricerca delle loro parole, di ciò che voglio dirci, lasciandoci sorprendere dalla ricchezza spirituale che vorranno donarci.





[1] Francesco, parole del Papa in occasione della Visita al Tempio Valdese di Torino il 22 giugno 2015.
[2] “Storia di Chiese sorelle – Cattolici e Valdesi a Torino in uno storico incontro”, http://filosofianelquotidiano.blogspot.it/2015/06/storia-di-chiese-sorelle-cattolici-e.html
[5] “dove il peccato è abbondato, la grazia è sovrabbondata” (Rm 5:20).
[6] In questo caso l’errore che la Chiesa Cattolica ha commesso contro i fratelli valdesi.
[7] “Ecco, io faccio nuove tutte le cose” (Ap 21:5).

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