“IN CUOR SUO …”



Si può dimostrare con linguaggio logico, scientificamente, l’esistenza di Dio? Possiamo ridurre Dio, i suoi attributi, il suo essere, a meri simboli della logica formale? Sono quasi mille anni che la filosofia, in un incontro tra fede e ragione, cerca di codificare, di classificare e di ridurre Dio agli schemi del pensiero logico. Il risultato sono pagine di finissimo pensiero, dove il cercatore di Dio, tra enunciati, assiomi e simboli, rischia di naufragare. Si tratta di un vero naufragio intellettuale, come lo descrive Agostino d’Ippona nei suoi dialoghi: il cercatore partendo dal porto della propria esistenza, abbandona la casa sicura dove è cresciuto con il latte della nutrice (Cartesio), per andare alla ricerca della Verità che possa essergli luce per il cammino (Sal 118:105). Due o forse più, sono le strade che gli si presentano d’innanzi e per chi ha il cuore inquieto la scelta della via da percorre risulta essere ardua. Da dove partire? Dal proprio cuore o dalla propria mente? Affidarsi alla doxa, al pensiero comune, o interrogare con la propria ragione il mondo che ci circonda? Entrambe le strade appaiono irte di pericoli, di difficoltà, ma il cercatore di Dio non può permettersi il lusso di rimare fermo, deve mettersi in cammino.

Da Anselmo d’Aosta a Gödel
La ricerca parte necessariamente da chi, prima di noi, ha cercato di aiutare chi è nel dubbio. Il dott. Samuele Maschio, nel suo recente intervento al Caffè Filosofico[1], ha mostrato come a partire da Anselmo d’Aosta[2], dalla dimostrazione ontologica dell’esistenza di Dio, i filosofi occidentali hanno tentato, con diverse argomentazioni, di dimostrare con un linguaggio logico l’esistenza del divino. Se le pagine che sono state scritte, come ha sottolineato il relatore, possono essere un ottimo esercizio per la mente e per la logica (in particolare quelle di Gödel[3]), il loro risultato è alquanto deludente dal momento che non riescono a dimostrare univocamente l’esistenza di Dio senza cadere in una qualche fallacia. Persino il concetto di Dio, come è stato ricordato[4], sembra essere messo in discussione senza essere chiarito[5]. Il nostro cercatore di Dio dovrebbe allora rinunciare alla propria indagine? A mio parere no, semplicemente dovrebbe spostare la propria attenzione.

Il cuore
Durante l’introduzione alla serata, il dott. Maschio ha presentato una serie di possibili risposte/prove non scientifiche all’esistenza di Dio. Fra quelle avanzate vi era quella del cuore, dove la certezza dell’esistenza di Dio si basava sul nostro sentimento, sul fatto che nel cuore lo percepiamo esistente. Condividendo con il relatore l’ovvietà che questa non possa sussistere come una dimostrazione scientifica, vorrei però che ci soffermassimo a considerare il cuore. La ricerca della dimostrazione ontologica dell’esistenza di Dio è sorta proprio a partire da un cuore, quello dell’insipiens, dove viene detto che Dio non esiste: “lo stolto in cuor suo dice: «Non c’è Dio»” (Sal 14)[6]. È a partire da questo passo biblico che Anselmo d’Aosta inizia il suo ragionamento ontologico nel tentativo di mostrare al suo interlocutore che Dio esiste. L’esercizio logico di Anselmo non consiste, come nella precedente opera, in un monologo ma è un dialogo tra un credente e un’insipiens. Circa la personalità dell’interlocutore la storiografia filosofica ha affermato essere “colui che non sa ancora”. Tuttavia durante la serata ho proposto che l’insipiente possa essere un altro monaco, che nel dubbio fa dire al proprio cuore “Dio esiste?”, come vorrebbe il Salmo 14, dove Dio chinandosi sul suo popolo non trova neppure un suo cercatore, poiché tutti i cuori sono corrotti. La prof.ssa Patrizia de Capua, come altri dei presenti, sottolinea nel suo intervento che l’insipiens è semplicemente l’ateo[7]. Ammettendo che l’interpretazione della de Capua fa luce anche sulle risposte di Anselmo d’Aosta al monaco Gaunilone, il quale si erge a difesa degli atei, vorrei focalizzare l’attenzione proprio su quel cuore: perché il salmista e Anselmo scelgono il cuore dell’uomo e non la mente per affermare che Dio esiste o non esiste? Banalmente (e forse non troppo) si potrebbe rispondere che il cuore per gli antichi era la sede dei sentimenti ma anche della ragione[8]. In particolare la mente del cuore è, secondo la Bibbia[9], capace di comprendere Dio, i suoi profeti e la legge dell’amore alla quale tutti siamo chiamati. Non appare dunque un caso se Agostino d’Ippona domandandosi dove fosse Dio quando lo cerva afferma: “Tu eri nella profondità della mia parte più intima e nella parte più alta di me[10]. Anche se la traduzione italiana e il gioco di parole utilizzato dal dottore della grazia non rendono evidente ad una prima lettura la “collocazione fisica” di Dio, egli afferma che Dio si trova nel cuore dell’uomo, in quella parte dove può essere compreso e da dove può partire il suo annuncio. “Tu eri dentro di me e io fuori, e ti cercavo lì, e deforme mi gettavo sopra queste belle forme che Tu hai creato. Tu eri con me, e io non ero con Te”[11]così confessa il suo pellegrinare alla ricerca di quella bellezza tanto antica che ha dato pienezza alla sua esistenza. Ancora una volta possiamo domandarci perché proprio nel cuore e non nell’intelletto che scruta la Scrittura, possiamo trovare Dio, “Dio-esistente”? Chi vuole cercare Dio deve ricordarsi che Egli non usa la logica dell’uomo, la scienza umana, ma i suoi pensieri e le sue azioni sono mosse da altre “logiche” (Is 55:8).

L’incontro con Dio
La scoperta di Dio, della sua esistenza, può a mio avviso avvenire unicamente in un incontro personale. Come per i discepoli la “scoperta” di Dio è un incontro che si deve fare (Mc 1:16) -, uno scambio di sguardi (Gv 1:42) tra il nostro cuore e quello di Dio. Si esce inevitabilmente fuori dall’ambito della logica e della scienza che vuole dimostrare le proprie scoperte, per entrare in quel terreno forse troppo fragile per molti della metafisica e della teologia. Ogni credente può portare la propria esperienza, descrivere fin nei minimi particolari l’attimo in cui il suo cuore ha iniziato ad ardere per Dio. Tuttavia poiché nasciamo uno diverso dall’altro, necessariamente la nostra esperienza sarà diversa. Quello che possiamo (e forse siamo chiamati) a fare è mostrare il cammino che può portare a quest’incontro, non con l’arroganza di chi ne sa di più, ma con la semplicità dei bambini che ci vogliono mostrare la bellezza di un mondo che noi diamo per scontato.

Lo sputo …
In conclusione vorrei prendere in esame le ultime battute della disputatio tra Anselmo d’Aosta e il monaco Gaunilone, che la prof.ssa de Capua ci ha ricordato nel suo intervento: “Se uno è così insipiente da dire che non esiste ciò di cui non può pensarsi nessuna cosa maggiore, costui non sarà così impudente da dire che non può intendere o pensare che cosa dice. O se si incontra un uomo siffatto, si deve non solo rifiutate il suo discorso, ma anche coprirlo di sputi[12]. Fin dal liceo sono rimasto stupito e alquanto perplesso dal suggerimento che il dotto Anselmo da a Gaunilone su come “persuadere” gli ostinati insipienti: riempirli di sputi. Ma come? Dove finisce la dotta scienza e le raffinate discussioni che dovevano caratterizzare il pensiero della Scolastica? Come può un magister di teologia e filosofia ridursi ad usare “mezzi” così rozzi? Riflettendo sul passo anselmiano, mi sono ricordato di un altro curioso episodio, questa volta biblico, dove veniva utilizzato lo sputo. Mi riferisco alla guarigione del cieco nato, raccontata dall’evangelista Giovanni (Gv 9:1-12). Tema della pericope evangelica non è tanto la guarigione miracolosa, quanto piuttosto la questione del peccato e della teodicea in riferimento ad una deformità fisica. Tralasciando il tema specifico possiamo notare come l’azione di Gesù che sputa per terra per poter fare del fango da applicare sugli occhi del cieco nato, risulti essere miracolosa. Senza voler avere nessuna presunzione interpretativa di tipo esegetico e storiografico, mi sembra di intuire che nel suggerimento di Anselmo si celi a tratti il richiamo a questo episodio evangelico. “Come Gesù fece per il cieco nato, così anche tu Gauinilone – sembra volerci dire Anselmo – dovrai sputare negli occhi dell’insipiente, ridonandogli la vista per poter vedere Dio”. Ovviamente questa mia interpretazione non giustifica il suggerimento di Anselmo che rimane bizzarro. Come ho già detto in precedenza a mio avviso non possiamo dimostrare scientificamente, con il linguaggio logico l’esistenza di Dio, ma possiamo metterci in cammino, iniziare quel viaggio che potrebbe portarci ad affermare con Agostino “mi hai toccato, e io sono infiammato dal desiderio della tua pace”[13]



[1] “Uno sguardo matematico all’esistenza di Dio”, 14 settembre 2015.
[2] Si veda: Anselmo d’Aosta, Monologion e Proslogion, Bompiani.
[3] Kurt Gödel, La prova ontologica dell’esistenza di Dio, Bollati Boringhieri.
[5] Per quanto riguarda il concetto di Dio, bisognerebbe prendere in considerazione il Suo nome: “Io sono colui che è” (Es 3:14). Dio rivelando il suo nome sul Sinai, manifesta al contempo la sua essenza, la sua identità che può essere compresa, come vedremo, in un cammino di ricerca del divino.
[6] Io faccio riferimento alla classica traduzione del salmo, riportata anche dalla Bibbia Diodati, Nuova riveduta. Le traduzioni della CEI, quale la Bibbia di Gerusalemme (200521), hanno preferito tradurre semplicemente “lo stolto dice «Dio non esiste», tralasciando la “sede”, il cuore, dove viene proferita la frase.
[8] Nella cerimonia di sepoltura degli antichi egizi il cuore era l’unico organo che veniva lasciato nelle mummie, poiché ritenuto il più importante e protetto, oltre che dalle mani incrociate, da importanti amuleti. Inoltre il cuore pesato dal dio Anubi era prova di purezza del defunto, che gli permetteva l’accesso alla vita eterna o in caso contrario alla dannazione eterna.
[9] Si veda: Dt 4:39, Dt 6:4-6, Dt 9:3; Sal 9:3, Sal 84:3; Ger 23: 9; Mc 2:6; Lc 24:25, Lc 1:60, Lc 2:19.
[10]Tu autem eras interior intimo meo et sueperior summo meo” (Confessioni, III, 6. 11).
[11] Confessioni, X, 27. 38.
[12] Anselmo d’Aosta, Liber apologeticus contra Gaunilonem respondentem pro insipiente.
[13] Agostino, Confessioni, X, 27. 38.

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