Ancora …
“È imbarazzante che la maggior parte delle
persone non voglia pensare
cosa si provi ad avere il morbo di Alzheimer. È una
cosa terribile.” – Still Alice,
autrice Lisa Genova
Nella rassegna cinematografica
Cinema sotto le stelle, organizzata
dal Comune di Bagnolo Cremasco, è stato proiettato lo scorso mercoledì 15
luglio il film Still Alice – Ancora Alice[1],
di Richard Glatzer e Wash Westmoreland del 2014. Il film racconta la storia di
Alice Howland, professoressa di linguistica alla Columbia University, moglie e
madre di tre figli che scopre di essere affetta da una rara forma di Alzheimer
precoce. Poco a poco le conoscenze, le capacità e soprattutto i ricordi di
Alice si dissolvono nel nulla. A
supportarla in questo difficile cambiamento c’è l’intera famiglia che si
stringe vicino a lei, ognuno a proprio modo. Il film è toccante e rapisce
l’attenzione del pubblico che si sente immedesimato nella vicenda umana rappresentata.
Molto più che in altri film del genere, che mostrano la realtà difficile delle
malattie rare e degenerative, Still Alice
è capace di attuare la catarsi estetica che
già le tragedie greche avevano lo scopo di suscitare. Non avviene qui una
purificazione dalle passioni violente, ma la presa di coscienza che la vita può
essere imprevedibile e sfuggire in un istante. Il dramma che vive Alice è il
nostro dramma, il dramma di una vita vissuta tra lavoro e famiglia, tra il
successo e la quiete delle mura domestiche. Tutto è rimescolato, messo tra
parentesi e trasformato da un morbo, quello di Alzheimer che ancor oggi rimane
oscuro. Sul foglietto, che aveva lo scopo di introdurre alla serata, una frase
fra tutte ha attratto la mia attenzione: “non
sconfiggono malattie e nemmeno combattono le patologie, eppure questi film
curano, raccontando storie di cura anche quando non è proprio possibile
guarire”. Ecco la catarsi di cui parlavo, ma c’è di più. Still Alice ha anche il pregio di
presentare una tematica difficile come quella dell’Alzheimer (contemporaneamente
ad altre come l’eutanasia), senza cadere nel banale, nel “già detto/già visto”,
presentando semplicemente i fatti, le probabilità di ciò che può accadere. Come
nel discorso pronunciato dalla protagonista in occasione di un convegno a
favore dello studio del morbo di Alzheimer, i fatti, le frasi dette, le scelte
difficili da prendere, vengono presentate in modo tale da suscitare una
domanda: chi è il malato d’Alzheimer? Bollato e compatito molte volte come un
demente (nel senso medico del termine e non solo), la persona affetta da questo
morbo terribile rimane fino all’ultimo la persona da noi conosciuta ed amata. Rimane
tuttavia, la questione della dignità umana, che traspare nel programmare da
parte di Alice la propria morte (che poi non avverrà) nel momento in cui la
risposta alla domanda fondamentale “Chi sei?” non sarebbe giunta. Il mio non
vuole essere un invito all’eutanasia, ma la constatazione della difficoltà di
una vita vissuta senza memoria e possibilità di esprimersi. Molte volte vediamo
unicamente il peso che queste persone comportano per la famiglia che deve
assisterle, considerandole più un “sacco di patate” che esseri umani senzienti.
La dimensione esistenziale di chi è affetto da Alzheimer passa in secondo
piano, di fronte alle questioni pratiche di come “gestire” la faccenda. Questo
modo di vivere un evento drammatico come quello della malattie, è frutto di una
società che non pone più al centro l’essere umano in quanto tale coi suoi
difetti, le sue mancanze e le sue fragilità. Il consumismo sfrenato che ha
portato ad un’accelerazione dei ritmi di vita e ad un decentramento (oltre che
una perdita) dei valori base dell’esistenza umana, ha prodotto come conseguenza
l’incapacità di provare empatia. Non a caso gran parte della produzione morale
contemporanea (specialmente quella italiana) si è occupata di indagare e
riscoprire il tema dell’empatia già analizzato dai moralisti scozzesi del ‘700.
A mio avviso però l’attenzione deve essere spostata su una questione ancora più
urgente: chi è l’uomo? Chi sono io? Solamente rispondendo a queste domande
potremo trovare (forse) anche noi la forza di affrontare le difficoltà della
vita, e soprattutto di associare anche al nostro nome quel Still (ancora) che ci fa
comprendere che siamo sempre noi stessi.
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