La filosofia (non) va
in vacanza
di Patrizia de Capua
Non lontano dalla foce del Meandro,
avvolti dal ruvido e asciutto aroma del fico, accarezzati da quello balsamico
del ginepro e stuzzicati dalle note leggermente pepate dell’agnocasto…
…e va bene: il fiume poco distante è
il Serio, e i profumi che si contendono il campo sono quello ormai estenuato
del tiglio sfiorito, e un battuto di robinia pseudoacacia, pioppo e salice
bianco. Mileto è Vaiano, e tutto si gioca venerdì 19 giugno 2015 presso la
Trattoria ospitante, che tenta di distrarre con un ricco buffet e coloratissimi
cocktails la concentrazione intellettuale dei convenuti, ammaliati dal fascino
e dalla quieta soggezione che la filosofia incute.
Ma l’atmosfera creata da Gabriele
Ornaghi, con la complicità dell’arpa celtica e del salterio ad arco di
Eleonora, è la stessa di duemilaseicento anni orsono, quando Talete, sapientissimo fra i Sette Sapienti
(Diogene Laerzio) e primo fisiologo (Aristotele),
si segnalò per il nuovo metodo di ricerca intorno a una domanda che ancora non
trova risposta definitiva: da dove veniamo?
Abbandonando le favole degli antichi
poeti Esiodo e Omero, Talete ragionò da scienziato, e cercò di spiegare la
natura con cause naturali, riconducendo l’origine dell’universo all’umidità
diffusa in tutte le cose, senza peraltro addurre a riprova alcun tipo di
esperimento, la cui stessa nozione era in quei tempi remoti ancora estranea ai
ricercatori, ma descrivendo esperienze da lui stesso vissute, riportate poi
sotto forma di aneddoti istruttivi da storici e cronisti. Su uno di questi
aneddoti, in particolare, Gabriele si sofferma (quello dell’abbondante raccolto
di olive previsto dal meteorologo Talete, il quale si accaparra i frantoi nella
stagione invernale, per rivenderli a tempo debito in regime di monopolio,
lucrando forti guadagni), e chiosa: “l’unico filosofo che seppe diventare
ricco”.
Questa del filosofo fra le nuvole,
inutile a se stesso e agli altri, è una favola vecchia e logora, che pure tiene
ancora, malgrado secoli di controprove: si insinua il dubbio che venga
alimentata dagli stessi filosofi, insofferenti di regole e lacciuoli, ansiosi
di essere lasciati in pace, per potersi dedicare con agio al proprio lavoro:
quello studio che per molti è inconcludente non far nulla. Se non fosse mai
esistito questo studio teoretico, svolto per puro amore della conoscenza, ci
resterebbero sì – come direbbe qualcuno che oggi non si usa né si osa più
nominare – piramidi egiziane, acquedotti romani e cattedrali gotiche, ma quasi
certamente non avremmo molte conquiste delle scienze, matematica compresa.
Dunque avanti con questa macchietta
del filosofo indifferente nei confronti della vita quotidiana, tanto da
ignorare “non solo che cosa fa il suo prossimo, persino il suo vicino di casa,
ma quasi quasi anche se è un uomo o qualche altro animale” (Platone, Teeteto).
E in cambio? In cambio della scarsa
considerazione sociale, il filosofo acquista un dono preziosissimo: libertà di
pensiero e di parola, con conseguente possibilità di proseguire il proprio
cammino di ricerca.
È così che al “maestro” Talete,
l’“alunno” Anassimandro può ribattere con un pensiero di segno assai diverso
nel merito, benché in sintonia nel metodo: non l’acqua, ma l’àpeiron è origine di tutte le cose, dal
momento che solo dall’indeterminato caotico può generarsi un ordine composto da
molti elementi distinti, ciascuno con la propria specificità. Se quella di
Mileto viene oggi definita “scuola ionica” ci è ovviamente richiesto uno sforzo
di contestualizzazione che sgombri la mente da orari, banchi, campanelle e
interrogazioni, ma soprattutto da pregiudizi di autoritarismo e
indottrinamento: la prima scuola filosofica nasce infatti come luogo di
allenamento per le capacità di ricerca di chi può (solo uomini liberi) e vuole
frequentare il sapiente di turno. A quei privilegiati è data una quasi totale parresìa, nel senso che gli alunni
possono, con argomentazioni validamente costrutte, contestare le idee del
maestro, contribuendo in tal modo al prosieguo dell’indagine. Ovvio che
Anassimandro non potrà risentirsi se verrà a sua volta smentito da
quell’Anassimene che – scherza Gabriele – gli insegnanti relegano a tappabuchi
dell’ora di lezione, limitandosi ad accennare all’aria come arché, senza ulteriori approfondimenti,
forse per difficoltà nello sbrogliare la matassa di un ipotetico accostamento
dell’aria di Anassimene allo pneuma/soffio vitale della narrazione biblica.
Nella conversazione fra Gabriele e
una trentina di giovani, adulti, anziani e persino neonati, sboccia
un’interazione fatta di ipotesi e obiezioni, a cui il relatore ribatte con
ulteriori precisazioni e consigli di lettura: soprattutto raccomandabile Carlo
Rovelli, che in Che cos’è la scienza ripropone
un Anassimandro padre dell’idea di legge naturale.
Al termine dell’ora ad essa dedicata,
la filosofia si è fatta davvero cibo per la mente. Si potrebbe insinuare che
ciò può accadere perché prima sono stati placati i morsi della fame, dando
ragione al detto antea vivere, deinde
philosophari. Ma non è solo questo: Gabriele, esperto comunicatore, ha
saputo far germogliare un’aspettativa proiettata verso un futuro cammino tutto
da inventare, dove si avrà modo di dibattere di atomi e numeri. Infatti
qualcuno disse che dagli atomi e qualcun altro dai numeri ebbe origine questo
nostro universo. In qual modo? “Non ve lo dico”, conclude il relatore, rinviando
a futuri incontri estivi o autunnali…chissà dove, chissà quando…
La filosofia non è andata in vacanza,
ma si è trasferita in villeggiatura in campagne verdi e profumate. E se lungo
l’Oglio si radunano centinaia di ascoltatori assetati di lezioni magistrali,
lungo l’Adda e lungo il Serio si ritrovano piccoli gruppi di replicanti della
meraviglia originaria, curiosi indagatori dell’origine dei nostri passi incerti
di infelici bipedi implumi. Il sentiero è appena tracciato. Per continuare a
percorrerlo bisogna liberarlo da sterpaglie. Gabriele ce la farà.
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