ESODO 2.0
Mosè, Esodo e cinematografia contemporanea

1. Esodo 2.0 e storia
Molti in questo periodo si saranno recati al cinema per vedere l’ultimo film di Ridley Scott: Exodus – Dei e Re (Exodus – Gods and Kings). È l’ultima di una lunga serie di riproduzioni cinematografiche di episodi tratti dalla Bibbia. Il più famoso, che ha riscosso un enorme successo anche fra diverse generazioni, fu The Ten Commandments (1956) di Cecil B. DeMille. La versione di Ridley Scott si presenta decisamente diversa rispetto alla precedente, sia per gli effetti speciali utilizzati, sia per la reinterpretazione degli avvenimenti narrati dalla Scrittura. Partendo dal presupposto che entrambi i registi attuano una loro lettura dei fatti, nella versione di Ridley possiamo trovare un non indifferente insieme di errori storici, antropologici e biblici. Non voglio urlare “all’eretico”, quanto fare alcune considerazioni circa il film che invito, comunque, tutti a vedere. Chiunque apra un libro di storia, o navighi on-line alla ricerca della Civiltà Egizia, rimarrà affascinato dai monumenti che hanno saputo erigere, dalle più note Piramidi del Cairo al monumentale Tempio di Abu Simbel. Storici e semplici curiosi si interrogano ancora oggi su come una civiltà così antica, anche se tra le più sviluppate del suo tempo, sia riuscita ad erigere tali monumenti. Appare dunque evidente che qualsiasi regista affascinato da tanto splendore, scelga i monumenti più belli ed importanti per far da sfondo al dramma rappresentato. Ridley Scott mette in scena i funerali di Seti I nel Tempio di Abu Simbel, monumento che alla morte del faraone non era ancora stato edificato e pensato, dato che sarà lo stesso figlio Ramses II a costruirlo. Scelta comunque suggestiva quella attuata dal regista, che però rischia di disorientare lo spettatore da un punto di vista storico. Curiosa è anche la scelta di presentare Mosè come un giovane “barbuto”. I costumi egizi prevedevano che gli appartenenti alla famiglia reale, compresi i nipoti (come era considerato Mosè prima dell’esilio), si radessero completamente. Nel tentativo di marcare i tratti somatici di due etnie diverse, allo scopo di mostrare fin dall’inizio la diversa appartenenza culturale di origine dei due principi, Ridley accentua troppo un tratto fisico che apparterrà solamente (secondo la tradizione, e le ricostruzioni antropologiche) al secondo Mosè.

2. Dio è geloso del suo popolo
Tuttavia quello che maggiormente colpisce lo spettatore, al di là delle scelte di modificare la storia quale ad esempio il motivo di esilio di Mosè, è la figura di Dio. Tutti coloro che almeno una volta hanno sentito raccontare la storia dell’Esodo, hanno ben in mente che Dio si presenta al liberatore del popolo d’Israele nel roveto ardente sul monte Sinai. Posto che trovo interessante l’ipotesi di Ridley di presentare un Mosè tra l’agnostico e l’ateo, curioso di ciò che non conosce e di ciò che si cela sul monte Sinai, trovo decisamente bizzarra l’idea di rappresentare Dio come un bambino. Se già il Dio-bambino è una notevole innovazione, il fatto che per gran parte del film faccia i “capricci”, è davvero sconvolgente. Scott Ridley, a mio avviso, parte dall’affermazione biblica che Dio è geloso del suo popolo: “sono un Dio geloso” (Es 20:5), “Così parla l’Eterno degli eserciti: Io sono geloso per Gerusalemme e per Sion” (Za 1:14). In diverse parti della Scrittura e con diverse sfumature, emerge che l’amore di Dio per il suo popolo si manifesta anche in questa gelosia contro chi lo opprime. La medesima affermazione di volerlo liberare dalla schiavitù d’Egitto lo dimostra: “Ho osservato la miseria del mio popolo in Egitto e ho udito il suo grido a causa dei suoi sorveglianti; conosco infatti le sue sofferenze. Sono sceso per liberarlo dalla mano dell'Egitto e per farlo uscire da questo paese verso un paese bello e spazioso, verso un paese dove scorre latte e miele” (Es 3:7-8).  Nella versione cinematografica proposta da Ridley quest’atteggiamento di Dio viene esasperato nei capricci di un bambino, che possono indurre lo spettatore a ritenere Dio semplicemente un “capriccioso”. Anche il conseguente atteggiamento di Mosè, dopo la rivelazione del Sinai, è drasticamente cambiato. Non ci appare più un Mosè con barba e capelli bianchi, ma febbricitante e a tratti delirante. Per alcuni aspetti questo doveva essere l’atteggiamento (storico-reale) che Mosè mostrò ai suoi cari, i quali avranno opposto qualche resistenza al suo voler ritornare in Egitto, come mostra la versione cinematografica di Scott Ridley, in opposizione al testo biblico (Es 4:18). Tornato in Egitto il Mosè biblico si appoggia al fratello Aronne per parlare con il faraone, dato che era balbuziente. Questo aspetto è tralasciato dalla maggior parte delle versioni cinematografiche e non rappresenta di per se un grosso “errore”. Tuttavia non era di certo un generale che organizzò un piccolo esercito armato “stile Robin Hood”. Possiamo ben immaginare che atteggiamenti di ribellione debbano essersi verificati durante i quattrocento anni di schiavitù d’Egitto. Al contempo però non possiamo ammettere che essi siano stati organizzati da Mosè. Ciò che si viene a creare in questo momento è uno scontro tra il resoconto biblico e quello che gli storici (e alcuni esegeti) contemporanei ipotizzano. Molti passi della Scrittura vengono riscritti secondo canoni contemporanei, frutto unicamente di ipotesi, talvolta “fantasiose” (basti pensare alle teorie avanzate da Mauro Biglino e altri ricercatori, ad esempio di un’Arca dell’alleanza come strumento tecnologico capace di emettere scariche elettriche[1]), con il risultato di creare parecchia confusione. Tenendo fermo il concetto che la Bibbia è stata scritta da più mani, che i fatti in essa narrati sono stati scritti molti secoli dopo rispetto a quando sono avvenuti e che diverse mani possono aver adulterato alcuni passi del testo “originale”, difficilmente, ritengo che un popolo, il quale fosse in possesso di una così alta tecnologia (fornita dagli alieni?), non ne abbia lasciata traccia scritta. Inoltre per il popolo ebraico da sempre, è molto importante la parola scritta ed in modo particolare alla Sacra Scrittura, come avrebbe potuto, allora, volontariamente modificare cancellando dalla memoria (altro elemento basilare della fede ebraica, si pensi allo Shemà[2]) i fatti che costituiscono il momento più importante della loro storia che ancora oggi viene ricordato-celebrato coma Pasqua?
Di grande effetto è la rappresentazione delle dieci piaghe d’Egitto, e a Ridley va dato il merito di aver reso in maniera chiara a generazioni tanto distanti dai fatti narrati, cosa debbano aver rappresentato le piaghe per la popolazione egizia. Altro punto a favore di questa versione cinematografica, è la rappresentazione dell’ostinazione mista a superbia del faraone Ramses II. Ramses, noto soprattutto per aver fatto dell’Egitto un regno forte e potente in quella che può essere definita una vera e propria età aurea. È altrettanto famoso per il suo egocentrismo come emerge dai resoconti della famosa battaglia di Qadeš (1278 a.C.). Anche se in Exodus (in maniera erronea) viene posta durante il regno di Seti I e combattuta anche da Mosè, le fonti egizie che narrano di questo epico scontro con il regno Hittita ci presentano un faraone vincitore che abbandonato dai suoi fedelissimi, riesce a vincere la guerra. In questo breve resoconto possiamo ben intuire che Ramses II si ritenesse il più potente tra i faraoni (come emerge anche dalle statue e monumenti che lo celebrano) e che lo “scontro” con il Dio d’Israele abbia costituito per lui uno scontro fra dei (il faraone era per gli egizi un dio in terra). 

3. Il nostro Esodo
Dovendo fare un bilancio della versione cinematografica di Scott Ridley, ritengo che al di là degli errori storico – antropologici e biblici, va riconosciuto il fatto che ha saputo mettere in evidenza, con maestria, la difficoltà che può esistere nel rapporto con Dio. Mosè non ci appare come un uomo sicuro, un uomo che non si interroga su se stesso e sul divino, ma come un essere capace di mettersi in discussione. Partendo dalla consapevolezza di essere cresciuto in un mondo, quello della corte, che non gli appartiene, inizia un lungo e tortuoso cammino di ricerca che lo porta alla scoperta di sé e soprattutto del suo Creatore. In questa ricerca, che non è priva di inciampi e fatiche, il confronto con gli altri e con Dio diviene elemento fondamentale. Senza il confronto con l’altro (e l’Altro) non possiamo giungere ad una completa conoscenza di noi. Siamo soliti parlare del cammino che il popolo d’Israele compie, anche fisicamente nel deserto, alla scoperta di sé e di Dio. Tuttavia tale cammino nasce soprattutto dai passi che ogni singolo israelita, e soprattutto Mosè, ha fatto. I dieci comandamenti si pongono, più della terra promessa, come premio di questo cammino. Essi rappresentano le parole che Dio nel suo amore dona al suo popolo amato, ad ogni singola persona. Ognuno di noi è interrogato da queste parole, e l’uomo contemporaneo è invitato a porsi in cammino, in ricerca di sé stesso. Il vero Esodo di ognuno di noi, in questo deserto culturale e di crisi di valori, rappresenta il cammino di scoperta di sé e del proprio rapporto con l’altro. Dio è dunque un passaggio fondamentale in questa ricerca di senso e le sue parole, possono costituire un premio anche per chi decide di non credere, perché se vengono analizzate con cura, esse appaiono come le fondamenta di quell’amore per il prossimo che dovrebbe regolare la nostra vita. 






[1] Mauro Biglino è conosciuto soprattutto per aver avanzato la teoria degli Elohim, ovvero che il Dio bibblico, Yahweh, appartenga alla casa degli Elohim, un etnia di extra terrestri.
[2] Lo Shemà è la preghiera che ogni ebreo deve recitare tutti i giorni, esso è composto da tra passi della Scrittura: Dt 6:4-9, Dt 11:13-21, Nm 15:37-41.

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