DONNE, CHIESA E VESCOVI
Riflessioni tra finte paure realtà vere
Sabato
mattina, come di consueto, durante la colazione mi sono dedicato alla lettura
del settimanale locale, di informazione Cattolica, “il Nuovo Torrazza” diretto
dal rev don Giorgio Zucchelli e proprio il suo editoriale ha attirato la mia
attenzione. Titolo: Vescovo donna?.
Supponendo fosse un “semplice” articolo di cronaca sulla recente conferenza
della Chiesa Anglicana mi sono subito accinto a leggerlo, scoprendolo però
essere un articolo di critica (abbastanza) serrata verso le decisioni prese
dalla Chiesa d’Inghilterra.
Antefatto.
Come di consueto in luglio la Chiesa d’Inghilterra si è riunita nel Sinodo di
York che ogni tre anni ha il compito di decidere le linee guida per l’amministrazione
della Chiesa. Al sinodo, diversamente che nei Concili della Chiesa Cattolica
Romana, partecipano, con peso uguale, le rappresentanze dei tre ordini della Chiesa:
vescovi, presbiteri e laici. Tra gli argomenti presi in esame, c’era anche “l’ordinazione
episcopale delle donne”. La chiesa Anglicana infatti ordinava già donne diacono
dal lontano 1970 e dal 1994 le donne erano state ammesse al presbiterato. La
chiesa sorella Episcopale, la Chiesa Anglicana USA, annoverava già da qualche
anno donne vescovo e il suo attuale primate è una donna, il vescovo Katharine
Jefferts Schori. Per la chiesa d’Inghilterra invece, la possibilità per le
donne di essere ammesse al ministero episcopale non esisteva ancora, anche se
la questione era già stata presentata e messa ai voti nel Sinodo del 2012
quando fu bocciata per soli sei voti contrari. L’allora arcivescovo di
Chanterbury Rowan Williams aveva affermato che la Chiesa Anglicana aveva perso
di credibilità. Tuttavia tre anni dopo il Sinodo si è espresso favorevolmente e
forse a fine 2014 verrà ordinata la prima donna vescovo.
Nel
suo articolo don Giorgio Zucchelli commentando la decisione presa dal Sinodo di
York, si è espresso in maniera contraria e in linea con la posizione già
avanzata dal defunto papa Wojityla. Tuttavia alcune affermazioni esposte da
Zucchelli fanno sorgere più di un dubbio. Infatti non c’è semplicemente la
registrazione di un fatto avvenuto in una Chiesa diversa da quella Cattolica,
ma la riaffermazione (forse eccessivamente) che solo la Chiesa di Roma persegue
la “vera” via. Di fondo c’è la “pretesa teologica” che Gesù stesso abbia
impedito alla donne di essere apostoli e quindi di accedere a quello che
sarebbe divenuto il ministero ordinato. Viene al tempo stesso sottolineato da
Zucchelli che l’ordinazione delle donne (a questo punto non solo episcopale) si
basa su un “ragionamento (…), su un criterio di uguaglianza tra i sessi –
giustamente – molto sentito”, ma nulla di più. Ma è davvero così? Davvero l’ordinazione
delle donne è solamente un “capriccio” contemporaneo come Zucchelli sembra far
intendere? Proviamo ad aprire la Bibbia ed in particolare il nuovo testamento.
Se si scorrono le pagine della Sacra Scrittura ben presto ci si accorgerà che
si è di fronte a due posizioni antitetiche che cercano di conciliarsi tra loro.
In particolare Paolo di Tarso, l’apostolo delle genti, costituisce il nucleo
centrale del problema del rapporto molto travagliato tra le donne e la Chiesa
(specialmente Cattolica). Nelle sue lettere (o quelle a lui attribuite)
troviamo le due posizioni opposte. Nella prima lettera ai Corinzi noi possiamo
leggere quanto Paolo raccomanda in merito al sesso femminile: “le donne
tacciano nelle assemblee, perché non è loro permesso di parlare; stiano
sottomesse come dice anche la legge” (1Gal 14:34-35). Il versetto appena citato
rappresenta, come evidente, la mentalità dell’epoca che non ammetteva la parità
dei sessi, lasciando largo spazio alla misoginia. In Paolo (e per secoli nella
Chiesa) tale disparità prendeva anche una connotazione teologica alla luce del
testo della Genesi 2:22-23. Afferma infatti Paolo “non permetto alla donna
d’insegnare, né di usare autorità sul marito, ma stia in silenzio. Infatti
Adamo fu formato per primo e poi Eva” (1Tm 2:11-15). Emerge tuttavia nelle
lettere paoline, una visione della donna diametralmente opposta. Paolo parla
ora apertamente delle donne che sono
ammesse al ministero ordinato: “vi raccomando Febe, nostra sorella, ch è diaconessa
della chiesa di Cencrea” (Rm 16:1); “i diaconi devono essere dignitosi, non
doppi nel parlare, non propensi a troppo vino (…) anche questi siano provati
(…) Allo stesso modo le donne” (1Tim 3:8-13); “gli anziani siano sobri,
dignitosi, assennati, sani nella fede, nell’amore, nella pazienza; anche le
donne anziane abbiano un comportamento conforme alla santità” (Tito 2:1-3). Non
solamente abbiamo la testimonianza di una diaconessa, Febe, che amministrava il
proprio ministero a Cencrea, ma Paolo si preoccupa di fissare i medesimi cardini
di ammissione per entrambi i sessi. Troviamo, a mio avviso, in questi passi un
Paolo di Tarso molto più vicino all’atteggiamento che emerge dai vangeli.
Infatti nei Vangeli, come è stato anche ricordato giustamente da don Zucchelli,
il rapporto di Gesù con le donne è per certi aspetti rivoluzionario o per lo
meno precursore dei tempi. Basti pensare all’episodio della donna adultera (che
molti identificano con Maria Maddalena) narrata in Giovanni 8:1-11, dove Gesù
prende le difese di una donna rea di adulterio. Oppure l’episodio della Samaritana
(Gv 4:1-26) dove il Cristo discute di teologia con una donna. Gesù mostra
dunque un apertura ante litteram al mondo femminile. E se è vero, come
sottolinea Zucchelli, che tra i dodici non vi erano donne non possiamo non
ammettere che tra i discepoli di Gesù vi erano anche donne e che proprio a loro
Egli affida il messaggio, la testimonianza più importante della sua vita: la
sua risurrezione. Alle donne, a coloro che all’epoca di Gesù non potevano
nemmeno essere ammesse come testimoni in tribunale, alle donne e non agli
uomini, il Cristo affida il primo annuncio della sua vittoria. Zucchelli nel
suo articolo afferma inoltre che non è stata una scelta della Chiesa Romana
quella di precludere le donne al sacerdozio dato che esistevano 2000 anni fa
sacerdotesse. Bisogna tuttavia ammettere che si esistevano (fuori da Israele) ma non avevano pari
dignità con gli uomini sacerdoti. Nella antica Roma ad esempio le Vestali (le
più importanti sacerdotesse) non avevano totale libertà d’azione (non
sceglievano, ad esempio, autonomamente di diventare sacerdotesse) pur
rappresentando la più alta carica del sacerdozio femminile. Inoltre nella
maggior parte dei casi anche quando esse partecipavano attivamente al
sacrificio erano semplicemente delle ancelle, degli “aiuti” preposti per il
principale attore. Infine nell’articolo di Zucchelli viene posta la questione
di chi rappresenta il sacerdote nella sua azione: “il sacerdote, non esercita
il ministero a proprio nome, ma rappresenta Gesù che era un uomo. Il prete è un
segno sacramentale che i fedeli devono poter riconoscere. Quando si celebra
l’Eucarestia non si avrebbe questa naturale rassomiglianza se il ruolo di
Cristo Sposo non fosse tenuto da un uomo”. Fermo restando che Zucchelli esprime
la posizione della Chiesa Cattolica, mi sorge un dubbio alla luce sempre di un
passo paolino: “non c’è né maschio né femmina, poiché voi tutti siete uno in
Cristo Gesù” (Gal 3:28). Se Paolo afferma che siamo tutti, nostante le nostre
diversità (anche di sesso) uno in Cristo, come può il nostro sesso fare da discrimine
nella liturgia Eucaristica? Non è forse il pane ed il vino che vengono
consacrati durante l’azione liturgica che io devo riconoscere come sacramento
di redenzione e di salvezza? Vuole forse dire che se accostandomi alla
comunione e ricevendola da una donna che ha ricevuto la dispensa a distribuire
la comunione, tale sacramento ha un valore minore rispetto a quello ricevuto da
un uomo?
Quello
che ho cercato di mettere in evidenza è che la scelta della Chiesa Anglicana,
maturata lungo un percorso di più di trent’anni, non suscita “disorientamento
tra i fedeli cattolici”, come ha affermato don Zucchelli, perché è la scelta di una
Chiesa specifica, di una comunione che va rispettata perché nostra sorella, e
che certe affermazioni fuori tempo e fuori moda non hanno più ragion d’essere.
Una domanda mi sorge in fine spontanea: non saranno forse certi sacerdoti
(magari anche redattori) ad aver paura di “competere” con sacerdotesse o di
dover obbedire a vescovi donna?
l'articolo apparso sul Nuovo Torrazzo il 19/7/2014
Katharine
Jefferts Schori (1954) vescovo della Chiesa Anglicana (USA), ordinata
presbitero nel 1994 e vescovo nel 2001. È stata eletta primate della
Chiesa Episcopale nel 2006.
Alcuni membri del Sinodo di York 2014 insieme all’atuale
primate della Chiesa Anglicana Justin Welby
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