Una volta si
risorgeva!
Una volta si risorgeva, e
oggi? Parto volutamente con una provocazione all’inizio di queste mie
riflessioni che prendono spunto dall’ultimo libro dott. Secondo Giacobbi[1] sul tema
“invecchiamento e morte” nella nostra società e da quanto emerso dal dibattito
on-line del Caffè Filosofico di Crema. Il tema non è dei più scontati, perché
come ha messo in luce l’illustre psicoterapeuta, mentre la vita continua, quasi
inesorabilmente, ad allungarsi non si può altrettanto dire della qualità della
salute degli ultimi decenni di vita di ogni singolo individuo. Non ho
intenzione di fare in questa sede un’analisi medico-scientifica dello stato di
salute del paziente medio, né tanto meno fare una previsione economico-sociale
delle “cause” che il fenomeno “invecchiamento longevo” provocherà. L’aspetto
sul quale mi voglio soffermare è una “componente” molto importante della vita
di ogni individuo, un appuntamento al quale nessuno manca, ma un tema di cui
non si parla più: la morte.
Nella nostra società secolarizzata
ed in piena crisi dei tradizionali valori (non solo religiosi), il tema della
fine dei giorni, della morte, è diventato un tabù. Nessuno ne parla più, anche
se sulla scia del mondo anglosassone ne celebriamo la festa il 31 ottobre. La
morte non è più la nostra sorella morte
corporale[2],
che con noi cammina per tutta la lunghezza della nostra vita. La morte è
divenuta uno spettro dal quale scappare, un ospite indesiderato anche quando le
forze ci abbandonano, un nemico da combattere con tutti i mezzi che la scienza offre.
Sembra che con la morte tutto si concluda. Essa si pone come l’ostacolo alla
realizzazione dell’unica “vera” eternità possibile: il godere dei beni terreni
in eterno. La scommessa di Pascal, circa l’esistenza di Dio e la vita dopo la
morte[3], sembra
non interessare più nessuno. A mio avviso, ciò è causato per l’appunto, da una
mancanza dei valori, o meglio di un’assenza (o quasi) di trasmissione di ciò
che per secoli hanno costituito il retroterra esistenziale di ogni individuo.
Anche per l’ateo, di ogni epoca, la morte costituiva un appuntamento fisso, e
pur non esistendo un futuro dopo la morte, un paradiso o un inferno nel quale
continuare a vivere, essa costituiva un traguardo non da combattere, ma da
accettare “serenamente”. L’ateo, il materialista, poneva l’accento sulla vita
dell’oggi, sul godere appieno dei doni che la natura ci offriva e dei piaceri
che l’uomo creava fino a quando le forze e il respiro vitale l’avessero
concesso. Per il credente (di ogni fede, ma in particolare per il Cristiano) la
morte costituiva sì un appuntamento fisso, ma solamente un passaggio. Infatti,
se la vita era una preparazione spirituale al regno dei cieli, la morte era una
rinascita in un mondo dove avremmo trovato, in base al nostro vissuto, la gioia
eterna o la nostra dannazione eterna.
Volutamente ho usato il tempo
passato per parlare della concezione della morte in abito cristiano-cattolico,
perché il tema della morte sembra sia sparito dalle prediche di molti sacerdoti
(soprattutto giovani). In chiesa non si sente più parlare della morte. Ai
bambini non si insegna più che la morte costituisce l’ultimo appuntamento del
nostro esistere in questo mondo. Qualora lo si fa, lo si accenna leggermente,
paragonando (giustamente) la nostra esistenza a quella di Cristo. Concordo col
prof. Carelli[4] quando
afferma che il volume del dott. Giacobbi (e direi anche la serata del Caffè
filosofico) costituisce una sfida alla Chiesa. La Chiesa (soprattutto quella
costituita dai sacerdoti post-conciliari e “novelli”) dovrebbe riscoprire il
tema della morte, nel senso che dovrebbe ritrovare il suo compito antico di
spiegare la morte, di preparare le persone anziane e no alla morte. La morte è
del resto per chi crede (e io sono fra quelli), solamente un attimo di “vita”
prima della nostra rinascita. Le Chiese sorelle protestanti ed anglicane, in
questo senso non si sono mai dimenticate di preparare l’uomo a questo evento.
Sulla base delle parole paoline “ho combattuto la buona battaglia (…) ora mi
resta solo la corona di giustizia che il Signore mi concederà”[5], la
Chiesa Cattolica dovrebbe riscoprire nel suo annuncio quotidiano del Signore
Risorto, che la morte è nostra sorella, non nostra nemica da combattere. Ciò
che dobbiamo combattere, è il male che si nasconde nella morte, ovvero la
dannazione eterna alla quale siamo consegnati perché il nostro agire è andato
contro il nostro prossimo e contro Dio[6]. Sono
ben consapevole di fare un discorso di parte, ma la regola aurea[7],
è valida sia per chi crede sia per chi non crede. Tutta l’umanità è chiamata a
vivere in armonia e in amore. Ciò che si pone dopo la morte, la vita eterna o
il semplice ritorno alla terra in polvere, riguarda la coscienza di ognuno di
noi.
Le istituzioni tutte, scuola
compresa, e soprattutto la famiglia devono parlare della morte ai propri figli.
Trovando le modalità appropriate in base all’età, devono saper affrontare un
tema tanto delicato. Devono formare adulti consapevoli che la vita dell’oggi
non è eterna e che prolungare inutilmente le sofferenze del morente, per
aggiungere qualche giorno o qualche mese in più non ha senso. A questo
proposito ripropongo un passo del libro di Giacobbi che lo stesso autore ha
letto: “(…) ogni giorno aumenta il numero
delle voci che affermano che in molti casi è immorale prolungare
artificiosamente la vita, quando nella situazione concreta questo significhi
soltanto prolungare la sofferenza, l’agonia, l’atto di morte. Già anni fa Pio
XII si pronunciava a favore di quelle famiglie che spingevano il medico curante
a “togliere i respiratori al paziente virtualmente morto, per permettergli di
morire in pace”[8].
La morte non va temuta, ciò che bisogna temere è di morire senza dignità, di
prolungare inutilmente le nostre sofferenze e il tempo che ci separa dal
distacco da questo mondo. Le parole di Pio XII, papa per molti aspetti
controverso, devono farci riflettere sul morire
serenamente in pace.
Una volta si risorgeva e oggi pure,
ciò che non si fa più è parlare della morte e soprattutto preparare alla morte,
appuntamento comune a tutti. Credente o non-credente, ogni persona deve
affrontare questo tema e prepararsi (e preparare i propri figli) secondo la
propria coscienza, così da non aver più paura della morte e chiamarla nuovamente
sorella morte corporale.
[1] Secondo Giacobbi, Vecchiaia
e morte nella società fetalizzata., Miemesis 2013 Milano-Udine
[2] “Laudato si’ mi’ Signore per sora nostra
morte corporale, da la quale nullu homo vivente pò skappare: guai a quelli ke
morrano ne le peccata mortali; beati quelli ke trovarà ne le tue santissime
voluntati, ka la morte secunda no 'l farrà male.” (Francesco di Assisi, volgare
umbro XIII sec.).
[3] “(…)ma qui c'è proprio una vita infinita
infinitamente felice da guadagnare, una probabilità di vincita contro un numero
finito di probabilità di perdita, e quello che voi mettete in gioco è finito.
Questo toglie ogni incertezza (…)” (B. Pascal, Pensieri 233)
[4] Si veda http://www.caffefilosoficocrema.it/news/sviluppi-della-scienza-e-durata-della-vita-relatore-secondo-giacobbi-introduce-piero-cattaneo/
[5] “Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la mia
corsa, ho conservato la fede. Ora mi resta solo la corona di giustizia che il
Signore, giusto giudice, mi consegnerà in quel giorno e non solo a me, ma a
tutti coloro che attendono la sua manifestazione con amore” (2Tm 4,6-8)
[6] Cfr. Mt 25,31-46
[7] In generale “non fare agli altri ciò che non vuoi sia
fatto a te”, presente in tutte le culture da Talete e Isocrate, dal mondo
buddista alla Sacra Scrittura in Mt. 22,37-39.
[8] S. Giacobbi, Ibidem,
pag. 49 cita Pio XII, Problemi religiosi
e morali della rianimazione, ai membri dell’Istituto Italiano di Genetica
“Gregorio Mendel” sulla rianimazione e respirazione artificiale, 24/XI/1957.
Articolo interessante, complimenti.
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