Un bambino che ci interroga - Natale 2016



“Troverete un bambino avvolto in fasce 
e coricato in una mangiatoia” 
(Lc 1:12)

“E allora si apre la mia anima e mi abbandono e dimentico; e il mio essere tutto si riversa oltre la stretta dei suoi confini, oltre l’angustia della mia propria affermazione, che mi tratteneva nella mia povertà. (…) Se tu stesso, l’incomprensibile, sei divenuto in questo amore il centro della mia vita, allora io ho dimenticato me stesso in te, con tutti i miei dubbi, Dio del mistero. (…) L’amore m’innalza e rapisce in te. Se io ho abbandonato me stesso nell’amore, tu sei la mia vita, e la tua incomprensibilità è sepolta nell’unità d’amore” [1].  

Il teologo Karl  Rahner, seguendo lo stile dei Soliloquia di Sant’Agostino, interrogava con queste parole il silenzio di Dio. Non esiste notte, come quella del 24 dicembre, in cui il silenzio, forse rotto da echi di zampogne e belati di pecore, è interrogato. Il mistero di Dio che sceglie di farsi uomo rompe il nostro quotidiano, la nostra logica, interrogando l’umanità lungo i secoli. Se i filosofi e teologi medievali si sono per generazioni interrogati circa la nascita del Salvatore da una Vergine, l’uomo contemporaneo non smette di stupirsi difronte al quel piccolo infante che nasce povero al Mondo. Come può il Salvatore tanto atteso, il Re dei re, essere così fragile nel suo primo manifestarsi all’umanità? La tenerezza di quel bambino che i nostri occhi non hanno potuto vedere, ma che il cuore, con una sua intelligenza, ci fa immaginare mentre teneramente ci scruta, sospende per un momento la nostra fatica quotidiana. Mai come nel nostro tempo, il ritmo incalzante e sempre crescente delle attività che ogni giorno ci rapiscono dal nostro esistere, si riempie di tensioni e sopratutto preoccupazioni che appesantiscono il carico che portiamo sulle nostre spalle. Siamo stanchi di questa salita senza meta, sfiduciati verso il domani che ci attende. Le tenebre dell’insicurezza economica e sopratutto del terrorismo, che come un spettro maligno sembrano non dissiparsi,  ci impediscono di vedere la luce che rompe le tenere, quella stessa luce che un semplice infante porta nel mondo. Eppure quelle tenere braccia, aperte verso il nostro sguardo, quasi a volerci abbracciare e sollevare, portano con se non soltanto la luce di cui la nostra quotidianità è sprovvista, ma anche quell’amore di cui il nostro cuore e il nostro esistere necessitano. “Si apre la mia anima (…) mi abbandono e dimentico”, così descrive Karl Rahner il nostro incontro con quella misteriosa e silenziosa tenerezza divina. Quel piccolo infante che ci scruta nel suo silenzio, ci permette per un giorno di abbandonare la nostra insicurezza, di spogliarci dei nostri dolori e di dimenticare, o meglio di affidare a Lui i nostri dubbi. In questo scambio di sguardi, che solamente il cuore sa compiere, noi ci spogliamo delle nostre fatiche, delle nostre catene che ci imprigionano nelle tenebre per aprirci con il suo amore alla luce del nuovo giorno.  É un amore che ci attira e ci trasforma quello che ci viene offerto da Gesù che nasce. É la certezza che non siamo soli ad affrontare le tenebre del nostro cuore, ma l’Emanuele, il Dio che sceglie di farsi uomo, cammina con noi e assieme a noi condivide i nostri dubbi e fatiche. Le parole di Karl Rahner ci invitano a sperimentare l’abbandono totale a Dio, non solamente il giorno di Natale ma ogni singolo momento del nostro esistere, perché nulla avremo da perdere ma potremo guadagnare un pizzico di serenità. 

***

[1]  K. Rahner, Tu sei il silenzio, Queriniana, Brescia 1984, pp. 11-12.

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