NUOVO E VECCHIO

Tra Bianchi Conigli, illusorie caverne e veli da squarciare

 
31 dicembre: fine di un anno. Sembra che in una notte tutto possa finire: il mondo così come lo abbiamo conosciuto possa scomparire, per apparirci l’indomani mattina (o pomeriggio) nuovo o per lo meno rigenerato. “Tutto scorre!” (Eraclito) verrebbe da pensare. O forse in maniera un po’ più ingenua (perdonatemi il giudizio) con il venditore di almanacchi di Leopardi[1] meravigliosamente nuovo e più propizio. Eppure poco più che una manciata di ore di sonno permettono alla nostra mente di comprendere che l’anno è cambiato, e siamo passati dalla notte di San Silvestro all’inizio di un nuovo cammino composto da dodici mesi. Che cosa ci sospinge allora a ritenere che il 31 dicembre sia un passaggio quasi mistico? Il desiderio. Il desiderio, forse, di poter iniziare un qualcosa di nuovo dimenticandosi dei tentativi a vuoto dell’anno precedente. Il desiderio di sentirsi diversi, rinati, forse migliori. E questo cambiamento sembra verificarsi proprio come nei racconti di Lewis Carroll attraverso uno specchio o più semplicemente inseguendo un Bianco Coniglio. Avvenuto il cambiamento e compreso quali possano essere i nuovi obbiettivi, sembra tuttavia che il tempo non ci basti, e i nostri buoni propositi non possono realizzarsi. Come il Bianco Coniglio di Alice anche noi gridiamo agli altri, e ancor di più a noi stessi che è tardi e non abbiamo tempo da perdere. Eppure non sarebbe già una novità se ci si fermasse abbandonando il tempo a se stesso, dedicandoci a noi? Che cos’è del resto il tempo se non una nostra mera invenzione? Siamo noi a stabilire come debba correre il tempo. Siamo noi che creiamo le regole del nuovo anno/mondo rispetto a quelle del vecchio mondo. Eppure a volte cadiamo vittime della banalità.  Nella magistrale versione della Disney di Alice nel paese delle meraviglie, si può vedere nel comportamento del Bianco Coniglio il nostro stesso atteggiamento distaccato rispetto alle cose reali che davvero contano[2]. Nella confusione della contemporaneità che tutti cattura, finiamo per non trovare la risposta alla domanda fondamentale: “chi sei tu?” (L. Carroll, Alice nel Paese delle Meraviglie, cap. V). Certamente una domanda la cui risposta non può essere data che al termine della propria esistenza, quando i giochi sono fatti. Eppure ognuno di noi può costruirla pian piano, tassello dopo tassello come in un mosaico multicolore. La nostra esistenza, il nostro essere è del resto costituito e fondato anche su quel vecchio anno che frettolosamente vogliamo chiudere e dimenticarci come se non fosse mai esistito. A buon diritto molti in un clima così difficile come quello di precarietà ed insicurezza che stiamo vivendo potrebbero volerlo dimenticare. Eppure è proprio grazie anche ai nostri momenti tenebrosi (e qui metto la mia personale testimonianza), che noi possiamo costruire l’alba del domani. Dopo ogni tempesta sopraggiunge il sereno. Non è semplicemente una frase fatta, un motto popolare. In essa risiede un pensiero semplice ma profondo allo stesso tempo che vuole sottolineare che le difficoltà di ieri non sono servite in vano. Certamente costituiscono un dolore che ci ha segnato nel profondo. Tuttavia occorre, come ci ricorda Kierkegaard, prendere in mano la propria vita e compiere le proprie scelte perché nessuno è esente dal farlo. Occorre avere il coraggio di rompere il velo di Maya (Schopenhauer) ed uscire dalla Caverna delle illusioni (Platone) per contemplare il mondo che si apre davanti ai nostri occhi così come è. Rispetto alle scuse di Puck[3] di un eterno gioco di luce ed ombre sogno e illusioni, preferisco la realtà cruda dell’oggi e l’onere della scelta: che avremo da perdere? Davvero dobbiamo accontentarci di un anno uguale a quello precedente? O è meglio scegliere di non inseguire il Bianco Coniglio nella Caverna, aprendosi alla scoperta del “nuovo mondo”?

Il Bianco Coniglio, L. Carroll Alice nel Paese delle Meraviglie



[1] Qui riproposto in questo celebre filmato:
[3] “Se l’ombre nostre v’hanno dato offesa/Voi fate conto v’abbiano colto/Queste visioni così a sorpresa/ Mentr’eravate in preda al sonno (…) Ogni visione vaga chimera”. (W. Shakespeare, A Midsummer Night’s Dream)

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